Intorno al mondo con Dicky - Il nostro inviato a Cannes - 02
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a cura di Ricardo Preve
IL NOSTRO INVIATO SPECIALE A CANNES - seconda puntata
Mi
sveglio senza capire bene dove io sia. Poi, poco a poco, comincio a ricordare.
Sono
sdraiato faccia in su sulla spiaggia della Croisette a Cannes. La mia testa riposa
sulla logorata valigia di cartone che ho trascinato qui da Buenos Aires. Mi
trovo qui quale corrispondente speciale di una contessa italiana, e del suo
misterioso seguito di scompaginati lettori, presso il primo festival di cinema
di Cannes. È il mese di settembre del 1946.
Vedo
un uomo che mi guarda, in piedi sopra di me, e che mi parla in inglese. Punta
con una mano verso il suo orologio che ha tirato fuori dalla tasca di un
vestito grigio scuro. Comincio a capire che mi sta dicendo che siamo in ritardo,
e che devo fare in fretta.
Quando
mi alzo vedo che è un uomo basso e grassoccio, con una corta cravatta nera
sulla camicia bianca. Gesticola vivacemente mentre parla incalzato da una
qualche urgenza. Finalmente riconosco in lui Alfred Hitchcock, il celebre
regista inglese.
Mi
prende per il braccio e mi trascina lungo la spiaggia, verso il Porto Vecchio
di Cannes. Mi dice che “l’equipaggio mi ha atteso sino a notte tarda” la sera
prima. Ma di che equipaggio mi parla?
Quando
arriviamo al porto vedo ormeggiato in banchina un immenso panfilo con lo scafo
snello, e tre alberi in abete canadese. Insomma mi ero sbagliato: la contessa
aveva sottinteso che sarei stato ospite a bordo del “Delfino”, il suo yacht di
36 metri, esempio folgorante della prestigiosa nautica da diporto italiana.
Hitchcock
mi presenta il capitano e l’equipaggio, composto interamente da uomini aitanti
che intuisco essere marinai provenienti da terre lontane, che non riesco
tuttavia a collocare con maggiore precisione. Alti e biondi, masticano qualcosa
che a prima vista sembra chewing gum, ma che ho più tardi scoperto trattarsi di
ben altro.
Qualcuno
porta il mio modesto bagaglio nella cabina che mi è stata assegnata. Con
Hitchcock rimaniamo sul ponte superiore, dove ci viene servita una squisita
prima colazione. Quanto meno a me. Quella del regista è un susseguirsi di gin
and tonic, e di una catena di sigari fumati senza fretta ma anche senza sosta.
Hitchcock è preoccupato: a suo parere il primo festival di Cannes è cominciato male. Troppi film in programma (45 lungometraggi), una giuria di ben 18 eminenze cinematografiche (ho fatto notare a Hitchcock, mentre gustavo una eccellente brioche all’albicocca, che non c’erano film argentini), e una organizzazione tecnica che per uno come lui, abituato a controllare sino al minimo dettaglio e con largo anticipo le sue produzioni, desta preoccupazione per le esigue risorse a disposizione.
E gli eventi di quei giorni dimostrano come le ansie del regista britannico non fossero infondate: per i successivi 15 giorni gli corro dietro, cercando di aiutarlo in ogni minimo dettaglio, e al tempo stesso prendendo appunti su un taccuino per il mio rapporto alla contessa. Problemi ne arriveranno, e tanti: il festival si
tiene nell’antico casinò di Cannes, un ambiente di grande eleganza ma dotato di
una una sala di proiezione assolutamente inadeguata. “I Tre Moschettieri” del
messicano Miguel Delgado viene proiettato alla rovescia, e una tormenta il
giorno prima della consegna di premi danneggia il palco nel giardino del casinò
nel quale si tiene la cerimonia. Lo stesso Hitchcock subisce l’umiliazione di
vedere il suo “Notorious” proiettato nell’ordine sbagliato: l’addetto alla
proiezione si era confuso con le bobine.
Io
sono totalmente concentrato sull’eventuale presenza al festival di Ingrid
Bergman, in qualità di protagonista del film di Hitchcock. Nutro per lei una
passione sfrenata, senza peraltro averla mai vista dal vivo. L’inglese mi ha
dato a lungo ad intendere che la Bergman sarebbe venuta, e che me l’avrebbe
presentata, ma di ciò non ho avuto evidenza.
Una
notte tarda, quando ero sulla coperta del “Delfino” a guardare il riflesso
delle stelle nell’acqua del porto di Cannes, vidi (o credetti di vedere) la
Bergman, vestita di un elegantissimo abito da sera con una profonda scollatura
dorsale che mostrava le sue magnifiche spalle nude, appoggiata alla veranda del
panfilo. Mi avvicinai per parlarle, forse per toccarla, ma quando ero ad appena
un paio di passi, la sua immagine sparì. Non ebbi bisogno che nessuno mi
dicesse che, appena mi appoggiai io alla veranda, lei era riapparsa dietro di
me: sentivo il suo sguardo inchiodato sulla mia schiena.
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recensione
28 Mag 2022
Bello Ricky! Ci fai tornare ad un tempo che non c'è più: la voglia di rinascita e la voglia di vita del 1946, un anno veramente speciale! Un tempo che non c'è più non perché solamente lontano 76 anni ma perché specchio di un'epoca che adesso sembra, non da rileggere ma da "riconquistare". La nostra contemporaneità, tormentata dagli echi di una guerra troppo vicina, sia fisicamente che culturalmente, mi farebbe sentire inopportuno a bordo del "Delfino"...