Intorno al mondo con Dicky - Uno sguardo alla California
RUBRICHE
a cura di Ricardo Preve
UNO SGUARDO ALLA CALIFORNIA
Qualche anno prima di scrivere il suo famoso romanzo “Furore”, che gli
valse il premio Pulitzer e la fama come scrittore, John Steinbeck scrisse una
serie di articoli sui lavoratori dell’agricoltura in
California. Intitolata “Gli zingari dei raccolti”, la serie, pubblicata dal San
Francisco Chronicle nel 1936, condannava senza mezzi termini gli abusi subiti
dagli emigrati dall’Oklahoma, e da altri stati del centro degli USA, al loro
arrivo alla ricerca di lavoro nelle valli della California.
Il libro (e il seguente adattamento cinematografico del 1940 di John
Ford, con Henry Fonda nel ruolo del protagonista), risvegliò la coscienza
sociale su un settore importante della società americana. Purtroppo però
l’arrivo della Seconda Guerra Mondiale pose fine al dibattito sullo
sfruttamento dei migranti, soprattutto perché molti di essi (per lo meno quelli
non arruolati nelle forze armate americane) trovarono lavoro nell’industria
bellica, venendo così rimpiazzati da messicani, popolazione per la quale gli
americani certamente si preoccuparono meno.
Nonostante ciò, le crisi sociali negli USA ritornarono con forza nel
dopoguerra. Nella sua introduzione a una nuova presentazione di “Gli zingari
dei raccolti” nel 1988, lo storico americano Charles Wollenberg lamentò che “il
senso di shock e indignazione con il quale Steinbeck scrisse gli articoli
sembra tragicamente assente nell’America contemporanea.” Wollenberg si riferiva
alla crescente popolazione dei ghetti urbani negli USA, e alla apparizione di
molti “senza tetto” che popolavano gli spazi pubblici americani.
Sono appena tornato da Los Angeles e posso confermare che il problema delle comunità tecniche marginali nella città degli angeli continua ad essere presente al giorno d’oggi. Praticamente ogni ponte che passa sopra le famose “freeways” californiane è colonizzato da un mini-villaggio di tende, o rifugi precari, nei quali vivono moltissime persone. Molti degli abitanti di queste bidonvilles soffrono di problemi di dipendenza da droghe o alcool, e sono visibili a tutte le ore del giorno e della notte mentre gironzolano per le strade di Los Angeles. L’emblematico Hollywood Boulevard, con le stelle delle celebrità sul marciapiede, è un punto di raccolta per dozzine di persone senza tetto, che poi passano la notte a dormire un qualche piazza di Hollywood, o di Beverly Hills… insomma di tutti i quartieri famosi della zona, gli stessi dove la gente mangia il sushi nei ristoranti carissimi, tenendo d’occhio la Lamborghini parcheggiata nei paraggi.
Ma questa manifestazione visibile del dramma sociale dell’America non racconta tutta la storia. Esiste anche una popolazione di immigranti irregolari (stimata dal Brookings Institution in oltre 10 milioni di persone in tutto il paese) che vive una vita nascosta, e che per molti aspetti mi ricorda quella degli schiavi africani in America sino alla seconda metà del secolo XIX.
Analogamente agli schiavi delle piantagioni agricole del Sud dell’America che non avevano diritti, cosi gli odierni immigranti (Latinoamericani per la maggior parte, ma provenienti anche da altre regioni del mondo) sono tenuti in una condizione di sottomissione, pronti a compiere i loro doveri, nella certezza generale che rimarranno a testa china e senza reclamare alcunché.
Gli schiavi afroamericani non avevano il diritto di spostarsi da una piantagione all’altra senza il permesso del padrone, di imparare a leggere o scrivere, o di ricevere assistenza medica.
Lo stesso succede per gli immigranti presenti oggi in California: non possono ricevere documenti d’identità che permettano loro di viaggiare liberamente, i loro figli sono ammessi alle scuole solo affrontando la resistenza delle popolazioni locali (o talvolta non ammessi), e certamente se si presentano a ricevere servizi sociali o di assistenza sanitaria, lo fanno con il rischio di essere denunciati e deportati.
La realtà è che gli schiavi di ieri e gli immigranti odierni, i piccoli agricoltori dell’epoca di Steinbeck e le famiglie del Guatemala di oggi, sono tutti ugualmente partecipi della tragedia di sfruttamento di esseri umani che, spinti dalla paura di morire di fame o essere uccisi dalla violenza se rimangono nel loro paese, finiscono col ritrovarsi lontano dalle loro case, dai sistemi di assistenza sociale che permettano loro di vivere una vita decente e umana, e come tali sono solo carne da macello, da sfruttare a vantaggio di altri esseri umani.
La ragione dell’abbandono delle terre dell’Oklahoma, del Kansas, o del Colorado da parte di tanti piccoli agricoltori, come raccontava Steinbeck, fu quello che oggi chiamiamo il cambiamento climatico: grosse tempeste di terra e sabbia, sollevate da una combinazione di un periodo di tempo inusualmente secco che succedette negli USA a principio degli anni 30, insieme a pratiche agricole che non tenevano in conto la necessità di proteggere il suolo dall’erosione. I famosi “dust bowls” spinsero fra 3 e 5 milioni di contadini verso la California.
Oggi il Guatemala, l’Honduras, o il Nicaragua soffrono ancora gli effetti dei venti, che soffiano a più di 150 kilometri all’ora, e delle piogge torrenziali, creati da un paio di uragani nel 2020. Le tempeste Eta e Iota misero allo sbaraglio più di 6 milioni di persone. Circa 600 mila persero le loro case, e a gennaio di questo anno, secondo la Croce Rossa, più di 250 mila vivevano ancora nei rifugi d’emergenza.
Più leggo e studio le storie degli immigranti di Steinbeck, e quelle
delle persone che oggi tagliano l’erba nei giardini, lavorano nei ristoranti
fast food, o guidano gli Uber in California, più mi rendo conto che la storia
siu ripete.
Semplicemente cambiano i dettagli della grande tragedia umana degli
immigranti: i concetti di base sembrano immutabili. Ne parlo con una certa
tristezza di fronte all’inevitabilità che essi comportano, ma anche con un
senso d’obbligo verso tutti quelli che soffrono, l’obbligo di non tacere.
2
recensioni
Valeria
13 Giu 2021
Come ho avuto già modo di dirti in privato ho trovato interessantissimo questo tuo parallelo...mi ha fatto pensare che sì, la Storia si ripete, ma ce lo dimentichiamo così facilmente....
Giovanna cuneo
13 Giu 2021
Molto bello e interessante, grazie Dicky
clicca sui titoli se vuoi leggere i servizi precedenti:
APRIRE LE FINESTRE
POLIZIOTTI, MASSACRI E CAMBIAMENTI SOCIALI
L'INEVITABILE DOMANDA
LA NECESSITA' DI DIRE LE COSE
L'USO DEL COLORE NE "LA GRANDE BELLEZZA"
VERSO UN NUOVO NEOREALISMO
DAL VIETNAM ALLA GEORGIA
VACCINI E POLITICA NEGLI USA
MALCOLM & MARIE
DI TRADUZIONI E DOPPIAGGI
I SOPRANNOMI DIMINUTIVI E LA SCHIAVITU'
L'INSURREZIONE DEGLI ALBERI