Intorno al mondo con Dicky - Ferrania - gli scompaginati

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Intorno al mondo con Dicky - Ferrania

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a cura di Ricardo Preve
FERRANIA
Qualche anno fa, una coppia di amici mi portò a Ferrania, nell’entroterra di Savona. Un po’ per caso, e forse un po’ perché sapevano del mio lavoro, capitammo in un posto straordinario: la ex fabbrica della Ferrania Film. Vale la pena vedere questo posto anche solo per la bellezza degli edifici che costituiscono lo stabilimento (spero che gli architetti in questo gruppo, ben più esperti in queste questioni di me, siano d’accordo). Lo stabilimento era un sito molto vasto: la Ferrania all’apice del suo successo aveva più di 500 operai, e 90.000 metri quadrati di superficie fra aree produttive, uffici e dipendenze. Si vede ancora il cinema per gli impiegati (chissà se proiettavano solo film realizzato con pellicola Ferrania?) l’impianto elettrico, l’impianto di purificazione d’acqua, le case e gli appartamenti degli impiegati. E i binari del treno interno, che percorreva l’intero sito della fabbrica, portando materie prime, attrezzature, e prodotti elaborati da una parte all’altra dell’area produttiva.
 
Oggi il posto è in rovina, abbandonato. Alberi ed erbacce crescono dappertutto, oscurando il luogo con le loro pesanti ombre; le porte sono scardinate e prive di serratura, non più custodi ormai di laboratori funzionanti o sofisticate officine di produzione; le finestre senza vetri sono muti e tristi testimoni di un passato glorioso. Ogni tanto si sentono degli spari: il sito è usato dai Carabinieri, e da altri reparti delle forze armate, per gli addestramenti nella lotta contro il terrorismo urbano.
 
Potete vedere su Facebook un video che mostra la fabbrica nei suoi anni di pieno funzionamento. Non avete bisogno di vederlo tutto (nel mezzo c’è una lunga spiegazione dei dettagli tecnici della produzione industriale dello stabilimento), ma solo guardando i primi 5 minuti, e l’ultimo minuto di questo documentario, potrete capire che tipo di posto fosse: https://www.facebook.com/preser.av.argentina/videos/2756922667863171
Ma allora cosa era la Ferrania, e che importanza ha avuto questo stabilimento ligure per il cinema italiano?
La storia della ditta non è difficile da riassumere. Sappiamo che già nel 1923 la Ferrania produceva pellicola cinematografica, mentre a metà degli anni 30 comincia a produrre pellicole specializzate (infrarosse, per raggi X, etc.), e a costruire macchine fotografiche.
Ma l’apice della sua espansione, e della sua fama, la Ferrania lo raggiunge nel dopoguerra, quando il marchio diventa “de rigueur” per i grandi registi italiani: la pellicola Ferrania è usata in molti dei film del neorealismo italiano, e i successivi film degli anni 1960. La pellicola di Ferrania più richiesta era la famosa P-30, usata da Fellini per “8 ½”, da De Sica per “Ladri di Biciclette” e “La Ciociara”, da Pier Paolo Pasolini in quasi tutti i suoi film, e da tanti altri. La P-30 era rinomata per il suo alto contenuto d’argento, il che conferiva ai film girati con essa un forte contrasto, comunque privo di “grana”: caratteristiche ideali per i film del neorealismo che spesso venivano girati con luce naturale, e spesso quindi in condizioni di bassa luminosità.
Con la P-30 non era necessario avere grandi quantità di luci, generatori, e conseguentemente tecnici elettricisti, per girare una scena: si poteva lavorare all’aperto con la luce del sole, e nella successiva fase di sviluppo il film acquistava ombre ricche e profonde nei toni scuri, mentre i chiari risultavano brillanti e lucidi, mai bruciati, conservando il dettaglio delle immagini anche in condizioni di sovraesposizione. Insomma, si poteva girare il famoso “funerale nella neve”, l’eterno incubo dei direttori della fotografia: con la Ferrania P30 ritrarre una fila di persone vestite di nero su un ghiacciaio non era davvero un problema.  
Ma l’importanza per il cinema italiano di questo prodotto ligure non risiedeva solo nelle qualità tecniche della pellicola. Fu proprio il fatto che la Ferrania fosse dislocata su suolo italiano che favorì una crescita così forte del cinema tricolore.  
Per capirne meglio le ragioni, bisogna fare un passo indietro e studiare un po’ la storia della cinematografia italiana. Dopo i primi albori a Torino (dalla fine del secolo XIX, sino agli anni 1920), il cinema italiano si trasferisce a Cinecittà nella periferia di Roma. Cinecittà era stata concepita e costruita da Mussolini, che aveva capito bene l’importanza del cinema nel secolo XX, inteso anche come possibile strumento di propaganda politica (è attribuita a lui la frase “Il cinematografo è l’arma più potente”).  
A Cinecittà nacque così un’industria cinematografica fra le più importanti al mondo, che contava migliaia di tecnici addestrati nelle più diverse mansioni: un vero e proprio patrimonio di conoscenze artistiche e industriali che sfidava Hollywood.  
L’armistizio del 1943 assestò un duro colpo a questo patrimonio: i nazisti miravano ad esso, e finirono col portarsi in Germania personale e attrezzature. Solo una parte venne conservata in Italia (al “Cinevillaggio” della R.S.I. nel quartiere della Giudecca a Venezia), ma col finire della guerra l’industria cinematografica italiana era ormai in rovina: Cinecittà fu addirittura utilizzata per un periodo come campo di rifugiati.
Inoltre gli alleati non erano affatto interessati a ricostruire il cinema italiano: da una parte perché il cinema italiano veniva (comprensibilmente) associato al Fascismo, dall’altra perché tanto gli americani con Hollywood, come gli inglesi con i loro Pinewood Studios, avevano tutti gli interessi a sbarazzarsi di un pericoloso concorrente.
In questo contesto nasce il neorealismo che poteva raggiungere molti obiettivi grazie a lavoro, creatività, e sacrificio, ma non poteva superare quello che in quel momento era l’ostacolo principale per la produzione di film: l’indisponibilità di pellicola. Ho letto (e sentito) che alcuni registi italiani di quegli anni girarono i loro film recuperando pellicole non sviluppate e scartate da lavori anteriori, laboriosamente appiccicando piccoli pezzi di film trovati qui e la, sino a farne un rullo. È possibile che in alcuni casi questo sia effettivamente successo, ma dubito che sia stato possibile costruire tutta un’industria cinematografica con una disponibilità così scarsa e discontinua di pellicola.  
Ed ecco qui che la Ferrania, sopravvissuta alla guerra, arriva in salvezza del cinema italiano, come la cavalleria degli americani alla fine di molti film di cowboys. Contare su un fornitore di pellicola di straordinaria qualità nel proprio paese, senza dover fare costose pratiche doganali, senza intoppi di trasporto su lunghe distanze, e senza pregiudizi o gelosie commerciali esteri fu la chiave per la sopravvivenza, e successivamente per la crescita spettacolare, dei film “Made in Italy”.  
 
 

Quindi, se vi capita di essere in zona, fatevi un giretto per i terreni dell’antica Ferrania. E forse sentirete, nello sbattere di una porta nella brezza, o nel fischio del vento che soffia nei laboratori svuotati, una parte di quel grande sogno che fu il cinema italiano del dopoguerra
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recensioni
Giorgio
09 Gen 2022
… errore: l’Armenia Films viene fondata nel 1917
Giorgio
09 Gen 2022
Grazie Dicky!!! Pensa che eravamo oggi dalle parti di Albenga ma ci voglio assolutamente tornare! Io adoro l’archeologia industriale e sono stato uno dei primi a Milano a farne case, già dal 1990/91…
Voglio inoltre raccontare che non possiamo dimenticarci di una delle prime case di produzione cinematografiche italiane che era la Comerio Film (che poi diventa Milano Film) fondata nel 1907. Pochi anni dopo (direi 1911) fu creata anche l’Armenia Film a due passi da dove ho vissuto per vent’anni (proprio in una vecchia archeologia industriale). Milano ed Armenia Film erano via Bovisasca a Milano a 300 metri da casa mia nel “Derganino”…
Grazie ancora!!! Ci vado!!!
Mario
09 Gen 2022
Quanti ricordi Ricardo! Ferrania in Italia era sinonimo di fotografia, c'erano delle ottime macchine amatoriali di marca Ferrania (prima che venissimo tutti globalizzati dalla Kodak Instamatic e da quelle schifezze di cartucce che usava), e Ferrania era anche (di solito) il logo che compariva sulle buste in cui il fotografo ti consegnava le stampe, con i negativi nel risvolto... Se penso alla sapienza industriale che abbiamo perso negli anni '70, con aziende come quest, mi sento male.
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Gli Scompaginati - circolo di lettura - via assarotti 39 - genova ITALY
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