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Intorno al mondo con Dicky

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a cura di Ricardo Preve
IL CINEMA DI MICHELANGELO ANTONIONI
Continuo oggi il mio viaggio nel cinema italiano con un regista fra i più noti: Michelangelo Antonioni. Tra i suoi film sono molto conosciuti quelli della sua “trilogia esistenziale”: “L’avventura” (1960), “La notte” (1961), e “L’eclisse” (1962).
Il filo rosso che corre tra i tre film è uno sguardo sull’incapacità delle persone, nell’Italia del boom economico del dopoguerra, di creare vincoli affettivi profondi e durevoli. Questo fallimento è nascosto, come vedremo, dietro una facciata di benessere e felicità.
Li accomuna dunque, aldilà della regia e della travolgente presenza di Monica Vitti, uno stesso senso di tristezza e melancolia, un estraniamento dei personaggi rispetto all’ambiente sociale ed umano cui appartengono, che permea tutta la trilogia.
Tralascio tuttavia “L’avventura”, perché in questo articolo mi interessa parlare delle inquadrature e dell’uso degli spazi, inclusi quelli paesaggistici e architettonici, che il registra utilizza ne “La notte” (girato a Milano), e ne “L’eclisse” (con riprese fatte a Roma).
“L’avventura” fu invece per lo più girato in Sicilia, e quindi i paesaggi nei quali si svolge la storia sono molto diversi rispetto a quelli degli altri due film.
Ritengo che in questi ultimi Antonioni abbia usato le immagini in modo molto intelligente ed espressivo.
In “La notte”, film che ci propone una viva e incisiva critica alla borghesia industriale milanese, i personaggi di Marcello Mastroianni e Jeanne Moreau vanno a una festa organizzata nella sfarzosa casa di una ricca coppia milanese. Pur recandovisi e rientrandone assieme, sono molto lontani, fisicamente ed emotivamente durante tutta la notte. Ambedue flirtano con terze persone, ma al di là di ciò esprimono, grazie al geniale del lavoro di Antonioni svolto attraverso le inquadrature degli spazi presenti nella casa (molto stile anni 50), una sensazione di isolamento, tristezza, addirittura di angoscia.

Vediamo qualche esempio.



 
Le due donne che si disputano l’amore di Mastroianni sono Moreau (la moglie), e Vitti (la figlia del padrone di casa, che incontra  Mastroianni per la prima volta proprio quella notte). In questa inquadratura, la prospettiva delle scale chiaramente stabilisce i rapporti di potere: il personaggio in cima alle scale (la moglie), impone l’aura di legittimità conferitale dalla società borghese stabilendo una posizione di dominio sulla Vitti, che è seduta in basso.
Se ciò non bastasse a chiarire la gerarchia nel rapporto fra le due donne, Antonioni ce lo conferma con il contro campo.

Nessuno dei due personaggi è felice: Moreau perché vede minacciata la sua posizione da una donna più giovane, e Vitti perché sa che assumere il posto della Moreau (cioè, riuscire a salire le scale sino in cima) le è vietato dalle norme sociali.
Ci sono numerosi altri esempi dell’uso delle distanze fra le persone lungo tutto il film, e che raccontano molto di cosa stia  succedendo, solo attraverso le immagini.
Guardate per esempio questa foto in cui appaiono Mastroianni e Vitti.

 
Si sono appena conosciuti durante la festa. Abbiamo intuito prima che si crea una attrazione fisica fra i due. Ma adesso li vediamo in piedi, nella casa dalle linee dritte e dure, sotto la pioggia, senza che neanche si guardino. Sono vicini fisicamente, ma lontanissimi emotivamente.
Anche il personaggio di Moreau è inquadrato sotto la stessa pioggia, nella macchina di uno sconosciuto che tenta di baciarla. Poi però la donna ci ripensa, e cerca di ritornare alla festa, con l’illusione di recuperare qualche brandello d’amore e tenerezza da suo marito.
La casa sembra comportarsi però come un personaggio spietato con la Moreau: le stanze enormi, il vasto giardino, la grande piscina la separano dall’affetto che lei cerca, da quella ambita connessione umana che deve confrontarsi con distanze invalicabili.

 
 
Passiamo adesso a “L’eclisse”, l’ultimo dei tre film della trilogia. Qui trovo che Antonioni porti al massimo l’estetica cinematografica come strumento per raccontarci quello che ci vuole dire.
I contesti più importanti del film sono due, la Borsa Di Roma (allora nel tempio di Adriano in Piazza di Pietra), ed il quartiere EUR (nel 1962 ancora parzialmente in costruzione).
Notate i contrasti fra i due posti: alla borsa il contatto fra le persone è ravvicinato ed inevitabile, la sala è piena di grida e discussioni, tutti si affollano in uno spazio ristretto. Inefficiente ed antiquato (la borsa chiuderà questa sede definitivamente qualche tempo dopo), ma al tempo stesso profondamente umano, in qualche modo un rimando a un’Italia che sta per sparire.

Al quartiere EUR invece, Antonioni ci mostra le strade deserte, le piazze vuote, i palazzi in costruzione. Dappertutto si sente la mancanza di gente, la tristezza di una architettura razionale ma fredda, sprovvista di curve sinuose o di facciate eleganti.

Il film addirittura finisce con una sequenza d’immagini (più o meno 5 minuti, una eternità in termini cinematografici) che sconcertò il pubblico: la Vitti e Alain Delon scompaiono completamente, e lo spettatore si ritrova a vedere solamente le vie del quartiere EUR mentre cade la notte. Queste ultime inquadrature, che ricordano un quadro di Giorgio De Chirico, sono di una bellezza abbagliante, e ci trasmettono un senso di solitudine, di tristezza, e di malinconia che solo un maestro delle inquadrature e degli spazi ci potrebbe offrire.

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recensione
Mario
04 Apr 2023
Grazie Ricardo! Ho visto per la prima volta La Notte qualche mese fa, ma non ho fatto caso agli aspetti che evidenzi nel tuo articolo. Ci darò una nuova occhiata. Purtroppo sul piccolo schermo non è la stessa cosa.
Ma quanto era bella la Vitti!
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Gli Scompaginati - circolo di lettura - via assarotti 39 - genova ITALY
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