Gianfranco Ayala fotografo e cineasta - gli scompaginati

Vai ai contenuti

Gianfranco Ayala fotografo e cineasta

SPECIALS
un'intervista di Patrizia Veroli
1.     BAMBINI E VECCHI IN SICILIA. CALTANISSETTA E DINTORNI
Il 21 gennaio di quest’anno si è inaugurata a Roma al Teatro dei Dioscuri la mostra SICILIA SOTTOSOPRA/SICILY UPSIDE DOWN. Organizzata dall’Istituto LUCE, la massima istituzione italiana nel campo dell’audiovisivo, l’esposizione ha raccolto alcune decine di fotografie ed un filmato di una ventina di minuti di Gianfranco Ayala, un neuroscienziato che, rientrato in Sicilia dopo una carriera professionale svoltasi per lo più negli Stati Uniti, ha riscoperto gli scatti che fece giovanissimo a Caltanissetta, la sua città natale. La mostra romana, corredata di un catalogo curato da Enrico Menduni (e pubblicato da Istituto LUCE/Casa Editrice 40DUE), si è chiusa appena prima dello scoppio della pandemia in Italia, e le sue tappe successive sono state rimandate a data ancora non fissata. Conosco Ayala da molti anni, avendo collaborato con lui ad una mostra di bozzetti e figurini di grandi pittori italiani che rappresentavano il lascito di suo padre, il musicista Antonio D’Ayala, direttore delle manifestazioni musicali (opere, balletti, concerti) tenutesi negli anni 1940-1943 al Teatro delle Arti di Roma ed interrotte dalla guerra. La mostra di questo patrimonio scenografico fu organizzata dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e si tenne all’Auditorium di Roma (Parco della Musica) nel 2009.
 
Gran parte delle fotografie di Ayala esposte a Roma lo scorso gennaio erano state oggetto di un volume, Visioni in bianco e nero, uscito nel 2018 per i tipi della casa editrice 40DUE. Ho chiesto a Gianfranco di raccontare agli Scompaginati qualcosa di sé e della sua passione per la fotografia.
PV
Com’è avvenuta la riscoperta di queste fotografie e del filmato esposti nella mostra di Roma?
GA
Non è stata propriamente una riscoperta perché non li avevo abbandonati in un cassetto nella nostra casa di Caltanissetta, ma avevo portato i negativi con me negli Stati Uniti. Evidentemente questi negativi avevano un valore affettivo per me, ancorché in quel periodo non ne avessi la coscienza.  Me li sono sempre portati dietro, senza chiedermi il perché. Non ne feci niente, né li guardai mai, perché coinvolto al cento per cento dalla mia attività professionale. Tornato a vivere in Sicilia alcuni anni fa, li ho ripresi in mano, li ho scansionati e stampati e mi sono di nuovo identificato nel Gianfranco di allora. Anche il filmato è sempre stato con me, ed anche lui ha attraversato l’Atlantico diverse volte, anche se non ero più in grado di vederlo, perché, trattandosi di un 16 mm, ancora su celluloide, mancavo del proiettore adatto.
PV
Come ti sei scoperto fotografo?
GA
Non si può dire che io mi sia scoperto fotografo. Ero un ragazzino al quale una zia aveva regalato, per il suo quindicesimo compleanno, una macchina fotografica. Era, se non la prima, una delle prime macchine italiane di questo formato, una Ferrania Condor I, formato 24x36, con ottica fissa. Sono stato un autodidatta, un fotografo della strada e non un “fotografo di strada”. Scoprii anni dopo la differenza tra i due appellativi. Appartenevo a una famiglia benestante di Caltanissetta, mio nonno gestiva la miniera di famiglia. A casa, durante il rito del pranzo in cui tutti i membri della nostra grande famiglia sedevano alla stessa tavola, il discorso finiva sempre sulla miniera. Finito il pranzo, mio padre ed io uscivamo soprattutto per evitare la continuazione del “solito” discorso. Quando mi venne donata la macchina fotografica, la portai con me. Abbandonavo il mondo familiare e, macchina al collo, uscivo.  La prima cosa che incontravo erano le strade, i bambini. Le foto più sentite furono tutte scattate in un raggio di cinquanta metri dal portone di casa. La strada era la mia liberazione.
PV
Era un viaggio alla scoperta del mondo.
GA
Sì.  Uscivo dal mondo della famiglia ed entravo nel mondo reale. Furono i bambini a emozionarmi più di tutti, anche più degli anziani. Forse perché allora mi identificavo in loro. Scoprii il valore della strada per questi bimbi. Era per loro parte integrante della casa, volevano sempre scappare da lì e tornare in strada.
PV
Era un’epoca di grande povertà, in Sicilia, e le tue fotografie lo mostrano. Come ti guardava la gente, e soprattutto come ti guardavano gli anziani?
GA
Tutti volevano essere fotografati ed imparai il condizionamento della presenza della macchina fotografica. I bambini si inventavano vere e proprie scenette, pur di attirare la mia attenzione. Ho una sequenza di tre fotografie che hanno come tema una grossa, violenta lite, con pugni e cadute a terra.  Sembrava quasi che i piccoli si stessero ammazzando. Poi ad un tratto, uno di loro si gira verso di me, mi guarda in faccia e si mette a ridere: era tutto falso e costruito perché io li riprendessi. Mi è successo anche di passare in un vicolo quando una madre e una nonna stavano lavando la figlioletta, naturalmente per strada. All’inizio non si accorsero della mia presenza, ma appena se ne resero conto, pettinarono la bambina, le fecero indossare un bel vestitino e le misero l’“oro”. E la piccola, cosciente di tutto ciò, si mise a sorridere e a posare per me.
Gli anziani, anche loro, erano affascinati dalla macchina fotografica, erano compiaciuti che io li fotografassi, mi guardavano direttamente in viso e si mettevano in posa, ma mai in maniera spavalda come i bambini, quasi vergognandosi della propria vanità.
Ho una cosa da osservare. Nonostante tutti sapessero chi fossi e si aspettassero che verso le 3 del pomeriggio sarebbe spuntato questo ragazzo ben vestito e pulito colla macchina fotografica al collo, non mi hanno mai invitato a entrare nei loro tuguri. Non mi chiedere il perché. Né io chiesi loro mai di entrare, forse per non imbarazzarli. È l’opposto di quanto mi sarebbe successo poi in Sardegna. Ho scattato a Caltanissetta qualche fotografia negli interni, ma soltanto in occasioni particolari, il Natale, ad esempio, e in luoghi particolari, come nella bottega del vino.
Infine, ho avuto la fortuna di fotografare una situazione eccezionale in cui non ero io in verità a condizionare le persone, ma un fotografo professionista che le faceva posare, per poi vender loro il ritratto. Quel ritratto che poi avrebbe fatto parte dell’album di famiglia. Nota che a me nessuno ha mai chiesto una fotografia in cui era ritratto.
PV
Hai sempre utilizzato la stessa macchina fotografica?
GA
Sì, fino al secondo anno di università. Avevo 19 anni ed ero a Torino, quando successe un fatto eccezionale. Di solito andavo da una zia a pranzo e poi, a piedi, ritornavo nella mia camera. Lungo il percorso sotto i portici di Piazza Carlo Alberto, c’era un negozio di macchine fotografiche, e io ogni giorno mi fermavo sempre a guardarle, studiarle e desiderarle. Un bel giorno il proprietario uscì dal negozio e mi disse: “Senta, oggi ho effettuato un cambio, e ho preso questa Leica in ottime condizioni. Le interesserebbe?”. Interessarmi! E come poteva non interessarmi? “Certo, risposi, ma non posso pagarla”. “Senta, io gliela do, e Lei mi paga un po’ alla volta quando può, che ne dice?” Fu così che divenni proprietario di una Leica F3. Ottica intercambiabile, stupenda. La Leica cambiò la qualità delle mie fotografie.
PV
Nella tua casa entravano libri e riviste di fotografie? In Italia non mi pare ce ne fossero ancora.
GA
No. Il primo libro di fotografia mi fu regalato da una ragazza a Torino, frequentavo il II o III anno di università. Era di un fotografo italiano, ora me ne sfugge il nome, e mi impressionò moltissimo. A quel punto seppi che esistevano gli street photographers americani, scoprii Henri Cartier-Bresson, e tutto un mondo fino allora sconosciuto. Ma in quel periodo a Torino non fotografavo più, stavo già costruendo la mia carriera di medico.   
 

PV
A confronto della vita che andavi esplorando fuori casa, non ti venne mai in mente invece di fotografare gli ambienti che ti appartenevano? O di ritrarre le persone che più conoscevi?
GA
Si, ho fatto un sacco di fotografie in famiglia od amici. Ho fotografato mio padre e madre, i miei nonni, i miei cugini.  Alcune foto sono buone, altre sono fotografie qualsiasi. La verità è che dentro casa non mi sentivo ispirato. L’ispirazione mi veniva quando uscivo, il mio era un percorso conoscitivo. Uscivo e trovavo la strada, i bambini, i vecchi, la vita. Le manifestazioni popolari erano anche parte della mia vita di allora.
PV
Che rapporto c’è tra la stampa e il fotogramma? Quello che vediamo è frutto di interventi ex post?  
GA
Le dimensioni sono esattamente le stesse. Solo in una fotografia, quella che figura nella quarta di copertina del libro del 2018, c’è stato un intervento di ricostruzione per colpa del mio dito indice, che era finito su un angolo dell’obbiettivo. Anche altre fotografie sono state ripulite dai graffi prodotti dalla mia ansietà di vedere il negativo, prima che fosse asciutto.
(clicca sulle miniatuire per vedere le foto ingrandite)
3
recensioni
Mario
22 Set 2020
Guardando alcune di queste foto è difficile capacitarsi di come possano essere il frutto del lavoro di un ragazzo alle prime armi. Molte sembrano l'opera di un fotografo esperto che ha già visto tante collezioni dell'Agenzia Magnum. Ci sono delle foto davvero emozionanti per l'inquadratura così insolita. Teste di ragazzini che compaiono dagli angoli dell'immagine.... improbabili cortine di cenci che creano una trama quasi da op art (assai prima che questa venisse inventata, ovviamente) .... geometrie di vicoli dove la gente si allontana su direttrici divergenti... La mia preferita è quella dell'asinello comunista, con la foto di Togliatti tra le orecchie.
Valeria
20 Set 2020
Ringrazio di cuore Gianfranco Ayala che si è reso disponibile a condividere con noi le sue immagini e a raccontarcene con passione e ricchezza di dettagli! È un onore e un privilegio poterlo ospitare su queste pagine. Un grazie anche alla cuginetta senza la quale tutto questo non sarebbe stato possibile
CONSUELO ORLANDO
20 Set 2020
Ho visto a Roma , prima del lockdown- la Sicilia di Ayala e , poi letto ‘ I leoni di Sicilia’di Stefania Auci , mi han fatto entrate dentro alla realtà della gente comune Siciliana da cui mio nonno partì all’età di 14 anni . E l’importanza della lenta conquista dei diritto sociali per il benessere delle persone e della società. Bisogna continuare questo cammino.
Gli Scompaginati - circolo di lettura - via assarotti 39 - genova ITALY
Gli Scompaginati - circolo di lettura via assarotti 39 - genova ITALY
Torna ai contenuti