Intorno al mondo con Dicky - Giornate di lavoro - gli scompaginati

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Intorno al mondo con Dicky - Giornate di lavoro

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a cura di Ricardo Preve
GIORNATE DI LAVORO
Lo scrittore americano John Steinbeck scrisse il suo più famoso romanzo, “Furore”, durante 5 mesi (giugno a ottobre 1938) mentre viveva con la sua prima moglie, Carol, in una piccola casa nella città di Los Gatos in California.
I dettagli di come Steinbeck creò il romanzo che gli valse un Pulitzer, e contribuì fortemente all’assegnazione del Nobel della Letteratura, è il soggetto di un libro del ricercatore Robert DeMott pubblicato nel 1989 da Viking Penguin (la casa editrice che acquistò l’originale Viking Press che pubblicò “Furore” nel 1939), intitolato “Giornate di Lavoro: i diari di Furore” [N.B.: non mi risulta che esista una traduzione in italiano di questo libro: tutti i frammenti citati in questo articolo sono stati tradotti da me.]
Il libro offre un contesto geografico e storico al lavoro di Steinbeck, ed è basato su una serie di appunti scritti da Steinbeck, quasi ogni giorno (generalmente nel tardo mattino, prima che Steinbeck cominciasse a scrivere le 2.000 parole giornaliere che si auto-imponeva come obbiettivo di lavoro), e conservati in un quaderno. Generalmente, questi appunti costituiscono riflessioni e commenti di Steinbeck su un ampio spettro di soggetti, dal suo lavoro alla politica internazionale, fino a temi personali riguardanti il rapporto con la moglie Carol, o ancora riflessioni su amici, colleghi, e il mondo.


È interessante leggere nelle note i motivi che spinsero a Steinbeck a scegliere il soggetto per il romanzo. Steinbeck fa riferimento al commento del poeta francese Nicolas Boileau (1636 – 1711) secondo il quale gli unici soggetti degni della letteratura erano “… re, dei, ed eroi”, dicendo che “I re odierni non ispirano granché, gli dei sono in vacanza, e praticamente gli unici eroi che rimangono sono gli scienziati e i poveri… e i poveri sono gli unici facili da trovare”.
I poveri scelti da Steinbeck per il suo romanzo erano i lavoratori agricoli della California, molti dei quali erano arrivati nello stato in cui lui viveva dopo le grandi tempeste di terra che avevano colpito stati come l’Oklahoma e il Kansas qualche anno prima.
Questi poveri erano ben noti a Steinbeck come dimostrato da una serie di articoli che aveva scritto per il San Francisco Chronicle nel 1936: “Gli Zingari del Raccolto” era il frutto di una ricerca personale dello scrittore, che aveva assunto come sua la causa dei lavoratori precari nell’industria agricola della California. “Zingari per colpa delle circostanze” li aveva chiamati Steinbeck, ed era ovvio da che parte lui stesse.
Una volta scelto il tema di “Furore”, rimaneva la sfida di scrivere un romanzo epico, e ben più lungo ed impegnativo di qualsiasi cosa Steinbeck avesse scritto prima.

 
In “Giornate di Lavoro” impariamo piccoli ma interessanti dettagli della sua routine quotidiana: pare che a Steinbeck piacesse scrivere mentre ascoltava musica (gradiva particolarmente “Il Lago dei Cigni” di Tchaikovsky, e la “Sinfonia dei Salmi” di Igor Stravinsky), ma anche …la lavatrice (!), che col suono ritmico lo tranquillizzava, e gli permetteva di ignorare i rumori dei vicini, sempre più numerosi nel suo quartiere.
Ma veniamo anche a conoscere ben più importanti aspetti dell’identità artistica di Steinbeck: lo scrittore era spesso assalito da dubbi sulla propria adeguatezza relativamente al compito che affrontava. Sono numerosi i riferimenti negativi alle sue abilità: “Io non sono uno scrittore. Ho ingannato me stesso, ed altri.” “Nessuno conosce la mia mancanza di talento meglio di me. Devo lottare contro di essa tutto il tempo. A volte, mi sembra di fare un po’ di buon lavoro, ma quando finisco mi rendo conto che sono slittato nella mediocrità.” “Questo libro è diventato una tortura per me data la mia inadeguatezza. “
Nel 1938 Steinbeck era ancora un uomo relativamente giovane (era nato nel 1902) ma già, come tanti altri artisti, pensava alla propria morte, e all’eredità intellettuale che avrebbe lasciato al mondo. “La mia vita non sarà molto lunga e devo scrivere un buon libro prima di andarmene”, scriveva;  e ancora “La mia vita è quasi finita in ogni modo.” “Non sembro avere più la capacità di vivere. Le ore del mio orologio stanno per finire.” Comunque sia Steinbeck non morì per ancora più di 30 anni, nel 1968.
Steinbeck fa constanti riferimenti alle distrazioni della vita quotidiana, e agli ostacoli che questa frapponeva al suo lavoro di scrittore. Come tanti artisti che vorrebbero estraniarsi dal mondo e pensare solo alla propria produzione artistica ma si trovano invece ad affrontare tanti problemi della quotidianità, Steinbeck veniva costantemente distratto (o così, per lo meno ci lascia intendere attraverso i suoi appunti) dai più svariati inconvenienti: le frequenti richieste di offrire conferenze, o di apparire in eventi pubblici; le richieste di aiuto (spesso economico) che gli pervenivano quasi tutti i giorni attraverso la posta; la salute della moglie; le difficoltà finanziarie della casa editrice  (che finì per fallire) con la quale in quello specifico momento aveva un contratto; i problemi di salute (suoi, e dei suoi amici); e tanti altri.


 
Persino i grandi temi che in quel momento si affacciavano al mondo, come l’insorgere del fascismo e del nazismo in Europa, gli erano ben presenti mentre scriveva “Furore”. In quel momento giungevano in America tanti artisti e scienziati che scappavano dalle dittature europee, e queste preoccupazioni sul futuro del mondo erano frequente argomento di conversazione con i suoi amici attori come Charlie Chaplin, Wallace Ford, e Spencer Tracy. Scrive Steinbeck: “Prego Dio che questo libro non soffra di tutte le interferenze esterne.”
Ma se c’è un tema rilevante che si può cogliere attraverso la  lettura di “Giornate di Lavoro” è la tenacità, e la dedizione di Steinbeck al suo lavoro: “È un bene lavorare anche se non hai dentro di te la spinta assoluta per farlo.” Tutti i giorni Steinbeck si confrontava con la sfida monumentale di scrivere un romanzo che, quando la moglie Carol finì di trascrivere a macchina il manoscritto, superò le 600 pagine. Per Steinbeck, che beveva troppo, soprattutto i weekend, le prime ore del lunedì erano le più difficili, ma poi recuperava: “È una bella cosa lavorare, e credere nuovamente nel mio lavoro.”
“Giornate di Lavoro” non è una lettura difficile, e potrebbe anche essere un’esperienza divertente e arricchente per chi ammira il lavoro di Steinbeck. Io certamente l’ho letto con questo spirito, e trovo che mi abbia aiutato a capire meglio una delle grandi opere della letteratura mondiale.

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recensioni
Mario
30 Gen 2022
Caro Ricardo, la cosa che mi ha colpito di più, tra le cose he ci racconti, è il senso di inadeguatezza che provava Steinbeck quando pensava all'opera intrapresa. Non posso fare a meno di confrontarlo con la spocchiosa sicumera di certi pigmei di oggi che pubblicano qualche fesseria e ci campano di rendita per tutta la vita.
Valeria
30 Gen 2022
Grazie Dicky, colpisce sapere della disciplina rigorosa e metodica dietro le pagine di un capolavoro, di come anche uno scrittore della statura di Steinbeck debba difendere la propria concentrazione rispetto alle intrusioni del quotidiano e del domestico….Colpisce e, perché no? rassicura
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