Un inedito dall'Argentina
SPECIALS
a cura di Riccardo Preve
Il Sabato 1 novembre il giornale argentino "La Nacion" ha pubblicato un breve scritto di Jorge Luis Borges, uno dei più importanti scrittori di lingua spagnola di tutti i tempi. Si tratta di un foglio ritrovato dalla vedova Maria Kodama, che rinchiusa a casa durante la cuarentena Covid decise di spolverare i manoscritti originali di Borges per organizzarli. Le parole furono dettate da Borges (ormai cieco) a Kodama nel 1985, poco prima della morte di Borges, e dimenticate sino adesso.
Il contesto storico nel quale la vicenda rievocata si svolge è quello delle guerre civili argentine della seconda metà del XIX secolo, in seno alle quali , "l'uomo forte" della politica argentina, il Generale Urquiza, era stato ucciso da un rivale politico: Ricardo Lopez Jordan. Quest'ultimo era considerato un ribelle dal governo centrale di Buenos Aires, e si nutriva dell'appoggio dei poveri gauchos come l'Acosta menzionato, che per combattere al suo fianco aveva lasciato le fila del colonnello Francisco Borges, nonno dello scrittore.
Mio padre fu concepito nella guarnigione di Junin, a una o due leghe dal deserto, nell’anno 1874. Io fui concepito nella cascina di San Francisco, nella provincia di Rio Negro, nell’Uruguay, nel 1899. Dal momento della mia nascita ho acquisito un debito, abbastanza misterioso, con uno sconosciuto che era morto nel mattino di un certo giorno di un certo mese del 1871. Questo debito mi fu svelato poco fa, in un pezzo di carta firmato da mio nonno, che fu venduto in un’asta pubblica. Oggi voglio pagare questo debito. Non mi costerebbe niente immaginare dettagli circostanziali, ma quello che mi ha toccato è il tenue filo che mi lega a un uomo senza volto, del quale non so niente tranne il nome, adesso quasi anonimo, e la sua morte perduta.
Assassinato Urquiza, i soldati irregolari di Jordan presero di assedio Paranà. Un mattino arrivarono a cavallo in piazza e ci girarono intorno colpendosi la bocca e gridando qualche frase per burlarsi delle truppe. Non gli venne in mente di impadronirsi della città.
Per rompere l’assedio, il governo inviò il secondo regimento di fanteria. Erano a corto di soldati e una leva raccolse alcuni disoccupati dalle taverne e le case di malavita del Bajo. Acosta fu catturato in quella retata, all’epoca una pratica comune. Non mi costerebbe niente attribuirgli l’appartenenza ad una parrocchia di Buenos Aires o l’esercizio di un mestiere – muratore o macellaio – ma quella attribuzione farebbe di lui un personaggio letterario e non l’uomo, che fu quel che fu. Dopo una settimana disertò dalla caserma e passò alle truppe irregolari. Forse pensò che la disciplina fra i “gauchos” sarebbe stata meno severa che nelle file di un esercito regolare. Forse voleva vendicarsi di essere stato trascinato in guerra. La campagna proseguì e un distaccamento del Secondo reggimento portò prigionieri. Qualcuno riconobbe il povero Acosta. Era un disertore e traditore. Il colonnello Francisco Borges, mio nonno, firmò la sentenza di morte con la buona calligrafia dell’epoca.
Io nacqui trent’anni dopo. Un vago sentimento di colpa mi lega a quel morto. So che gli devo una riparazione, che non gli arriverà mai. Detto questa inutile pagina il 19 novembre 1985.
Vorrei dedicare queste righe a mia figlia Erika Preve (1987 – 2017) che oggi avrebbe compiuto 33 anni.
Ricardo Preve, Santa Margherita Ligure, 2 novembre 2020.