Intorno al mondo con Dicky - I sentieri che ho percorso - gli scompaginati

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Intorno al mondo con Dicky - I sentieri che ho percorso

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a cura di Ricardo Preve
I SENTIERI CHE HO PERCORSO
La donna entra nella penombra del cinema che stiamo usando come sala per le interviste con passo incerto, guardandosi in giro, nervosa. Tiene una giovane bambina per mano.
La mia troupe ed io stiamo sistemando le telecamere sul palcoscenico del cinema. Facciamo una breve pausa quando le vediamo entrare.
Cammino nel corridoio fra le file di sedili verso il fondo del cinema, e saluto madre e figlia. La chiamerò Sandra, anche se tutti i nomi in questo articolo sono stati cambiati per proteggere le identità delle persone che stiamo intervistando.
Stiamo filmando uomini e donne che sono entrati senza documenti negli USA con il progetto di un documentario. Vogliamo capire cosa li ha portati a lasciare i loro paesi lontani per venire in America.
Sandra sembra avere intorno ai 30 anni, e la sua triste storia è molto simile ad altre che abbiamo già sentito oggi.
Fedele credente della chiesa evangelista nel suo paese dell’America Centrale, Sandra cominciò a ricevere minacce dalle bande di criminali che vedevano nella sua presenza un ostacolo agli affari.
Le minacce furono seguite da un tentato omicidio, quando la sua auto fu presa di mira da un veicolo delle bande. Dimessa dall’ospedale in cui era stata ricoverata, Sandra prese la sua giovane figlia e scappò verso la frontiera nord del suo paese, nel disperato tentativo di  salvare la vita propria e della bambina.
Seguirono mesi di sofferenze, un arresto al confine con l’America, una malattia, e più tardi la deportazione in Messico secondo le disposizioni dell’amministrazione Trump di estradizione dei richiedenti di asilo politico nel lasso di tempo necessario per l’esame delle richieste (la corte suprema degli Stati Uniti recentemente ha confermato la legalità di questa procedura). Sandra finalmente è riuscita ad arrivare in Virginia, ma ha di fronte un futuro incerto.
Mentre risponde alle mie domande durante l’intervista, guardo discretamente sua figlia, che non deve aver più di 7 anni. La bambina è seduta su una sedia accanto alla parete del cinema, appena fuori dal campo della telecamera, e guarda intensamente sua madre con i suoi grossi occhi bruni.
Mi chiedo come dev’essere essere così giovane, e aver già sofferto tanto nella vita. Mi preoccupa che sentire sua madre raccontare gli orrori che hanno dovuto affrontare insieme possa causare un nuovo trauma alla bambina. Ma devo registrare la storia di Sandra, e quindi vado avanti con l’intervista.
Noto che la bambina tiene al petto un cane di peluche. Dopo che si conclude l’intervista con la madre, chiedo alla figlia di Sandra come si chiama il suo cagnolino pupazzo. Mi dice che non ha un nome. Le suggerisco chiamarlo “Pedrito” e, per la prima volta da quando l’ho conosciuta, sorride timidamente.
Mentre la serata prosegue, sentiamo più storie come quella di Sandra raccontate da altri immigranti. Catalina è una corposa donna messicana che ci enumera le dozzine di raccolti nei quali ha lavorato con le sue mani per più di 30 anni, dalla Florida al Maryland. Maria è una ragazza transgender del Guatemala, fuggita dal suo paese d’origine per scappare agli abusi della sua famiglia, e dalla violenza sessuale. E Florenzia è stata  separata dai suoi due giovani figli da ufficiali del governo americano per un tempo così lungo che, quando finalmente le è stato permesso di rivederli, i suoi figli non l’hanno riconosciuta.
 
La maggior parte dei colloqui sono in spagnolo, una lingua che la mia troupe non capisce, e ne sono quasi contento perché, in questo modo, sono l’unico con gli occhi lucidi. Ma ovviamente la mia troupe vede le persone entrare in crisi e cominciare a piangere mentre ci raccontano le loro storie d’orrore, e possono intuire l’angoscia nelle voci. Le ombre che abbiamo creato sul set per nascondere le facce degli intervistati adesso sembrano buie e minacciose aldilà delle nostre intenzioni.
 

Sono contento che la giornata si concluda con Antonio, un giovane uomo che ha una storia con un esito felice. Arrivato dal Messico ai soli due anni dopo aver attraversato il Rio Grande a nuoto, e poi il deserto a piedi con i suoi genitori, è riuscito ad avere un permesso di residenza, ed un lavoro.
Antonio sembra aver approfittato al massimo dell’opportunità datagli dal “sogno americano”: ha fondato una ditta che si occupa di parchi e giardini, e impiega già diverse persone nella sua impresa. È stato capitano della sua squadra di calcio al liceo; mi dice che ha riunito ragazzi di origine messicana con gli anglosassoni per creare una squadra forte e unita. Al momento sta considerando se candidarsi per una carica municipale.  
Ma questo lampo di moderata felicità a chiusura della giornata di lavoro non mi soddisfa del tutto. Guardo le riprese della giornata a notte inoltrata, e sono nuovamente commosso dalle voci infrante dai singhiozzi, dalle mani e dai corpi che tremano, e dagli occhi pieni di lacrime che mi guardano al disopra dell’orlo delle mascherine.
E mi domando come va con Pedrito, il cane pupazzo. Spero proprio che dorma tranquillo stasera, accanto alla figlia di Sandra, la bambina dai grossi occhi bruni.
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Gli Scompaginati - circolo di lettura - via assarotti 39 - genova ITALY
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