Intorno al mondo con Dicky - BELLEZZA E FILOSOFIA NEL CINEMA
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a cura di Ricardo Preve
BELLEZZA E FILOSOFIA NEL CINEMA DI WONG KAR-WAI
Non riesco a trovare una traduzione italiana del titolo del film “In
the Mood for Love” del regista di Hong Kong, Wong Kar-wai. Credo che in
Italia quest’opera del 2000 sia conosciuta con il suo titolo inglese, e quindi
lo lascio così.
A prescindere comunque dal nome con cui questo film è conosciuto in
Italia, esso rappresenta per me la (quasi) perfezione dell’arte cinematografica.
Tra i vari meriti vanta una fotografia impeccabile del grandissimo direttore
della fotografia Christopher Doyle; fotografia che desta intensi sentimenti di malinconia
e tristezza: le luci, i colori, e gli arredi si combinano per una mise en
scene travolgente, sottolineata da una eterea colonna sonora.
Non dubito che se Platone o Aristotele avessero avuto l’opportunità di
vedere il film (o alcune altre opere de Wong Kar-wai come “Happy Together”,
“2046” o “My Blueberry Nights”) ne avrebbero tratto innumerevoli
spunti sul tema della bellezza. Loro che della bellezza non solo fecero un
oggetto di riflessione filosofica, ma addirittura si operarono per esplorare
modalità e strumenti che ne fossero matrice.
Tanto per Platone, come per il suo discepolo Aristotele, la bellezza era
cosa seria, su cui non era possibile scherzare.
Sebbene esistano sottili differenze nelle loro definizioni estetiche, per
ambedue la bellezza era qualcosa di obbiettivo, un attributo degli oggetti che
poteva anche essere precisato nei dettagli. Per Aristotele in particolare, la
bellezza risiedeva nelle simmetrie, negli equilibri, nelle forme bilanciate e
ben proporzionate.
Questi pensieri aristotelici richiamano appunto alla mia mente certe scene
di “In the Mood for Love” nelle quali l’attrice Maggie Cheung indossa dei
costumi che si equilibrano alla perfezione con gli arredi: ad esempio quando
vestita di verde lavora come segretaria nell’ufficio di una compagnia di navigazione.
Le pareti, i mobili, e persino le persone nell’ufficio sono bagnati da una luce
verdastra che gioca con i suoi abiti. Ma nell’instante in cui riceve una
chiamata del suo amante platonico, il Sig. Chow Mo-wan (l’attore Tony Leung
Chi-wai, frequente collaboratore del regista), Cheung prende una giacca rossa
in mano.
Questa giacca rossa la vediamo addosso di Cheung nella scena successiva,
quando va alla ricerca di Leung in un albergo che è completamente decorato in
rosso: il colore dell’amore, e della passione. Attraverso un bellissimo
montaggio di scene dai colori caldi (oltre al rosso, arancioni e gialli), il
regista cinese raggiunge una perfezione di forme, di movimenti, e di colori che
avrebbe certamente compiaciuto i filosofi greci.
Nel secolo XVIII nuove correnti di pensiero aggiunsero una nuova dimensione al concetto di bellezza. I filosofi Immanuel Kant e David Hume ritenevano che la bellezza risiedesse nel rapporto fra l’osservatore e l’oggetto considerato, allontanandosi in questo modo dalle rigide considerazioni estetiche di Platone e Aristotele, e lasciando invece il giudizio allo sguardo del singolo spettatore. In inglese, si dice “beauty is in the eye of the beholder”; cioè la bellezza è nell’occhio di chi la guarda.
In questo senso, Kant e Hume erano soggettivisti, e pretendevano che una cosa bella suscitasse, in chi l’osservava, un sentimento interiore che non era legato solo alle forme dell’oggetto considerato, ma piuttosto all’effetto che codesto aveva nell’ osservatore. In termini cinematografici, diciamo che Kant e Hume sarebbero stati più interessati alla sceneggiatura che alla scenografia di un film, se avessero vissuto (e pensato) in tempi più moderni.
Se torniamo a considerare “In the Mood for Love” e ci dimentichiamo
per un istante della bellezza delle immagini, vedremo che il film funziona
anche a livello narrativo. Possiede i classici tre momenti necessari in
qualsiasi storia: un principio (i personaggi si conoscono), un acme (i
personaggi s’innamorano), e un finale (che non racconto nel caso vi interessi
vedere il film, e non lo abbiate ancora visto). Questa struttura narrativa
(inventata, fra l’altro, dai greci) è presente nel film con tale forza che secondo la rivista
“Sight and Sound” il film è al 24º posto nella lista dei 100 film
migliori di tutti i tempi.
E
anche, come altri film che trascendono le qualità dell’ordinario e possono
essere considerati come veri gioielli della cinematografia mondiale, quanto più
si studia “In the Mood for Love”, più ci si rende conto che il film contiene
storie che vanno aldilà di quelle rilevate a prima vista.
Per
esempio, per me il film è anche un racconto che parla del tempo passato, ed in
particolare di un passato perduto. Considerate che Wong Kar-wai era di una
famiglia di Shangai che dovette lasciare la città natale per rifugiarsi a Hong
Kong dopo l’arrivo del governo comunista. Questa comunità di rifugiati politici
all’inizio degli anni sessanta (il film è ambientato nell’allora colonia
inglese nel 1962) aveva il proprio dialetto, la propria cucina regionale, e una
cultura diversa, ormai svanita. Il regista ha cercato con il film di
riscattarla, in quanto funzionale alla sua necessità di raccontare anche una
storia significativa sul piano storico.
Quindi,
io credo che “In the Mood for Love” avrebbe soddisfatto tanto le precise
considerazioni obbiettive sulla bellezza dei greci, come quelle soggettive
della filosofia europea del secolo XVIII. E voi? Cosa ne pensate? Se non avete
visto il film, non vi rimane che vederlo, e trarne le vostre conclusioni.
2
recensioni
Ricardo Preve
24 Lug 2021
Grazie Fra per la recensione. Per fortuna il cinema, come la letteratura, e le altre arti, ci permette di avere pareri diversi sulle stesse cose. Io dal primo momento che ho visto questo film non me lo sono mai potuto scordare, e diciamo che "funziona" per me, ma, chiaramente, i gusti sono soggettivi. Un caro saluto. Dicky.
francesca Odone
19 Lug 2021
L' ho visto e ho notato la ricerca estetica che la fotografia e la scelta dei vestiti e dei colori portano a un trionfo della bellezza cromatica e del decor. Ho apprezzato anche la scelta di mantenere la telecamera sugli amanti e di non conoscere i loro rispettivi partners totalmente esclusi da questa nuova relazione . Ho subito la claustrofobia degli ambienti piccolissimi , camere, uffici, stradine, vicoli. Ed ho disprezzato i dialoghi che non avevano alcun spessore. Forse voluto? La cultura asiatica mi infastidisce,( spero non sia una forma di razzismo!!), ma questi occhi a mandorla e visi lisci non mi suscitano emozioni e non sono in grado di capire le capacità attoriali dei protagonisti. Insomma sono uscita dalla sala con un opinione molto diversa dalla tua. Non mi è piaciuto, l' ho trovato ben fatto ma solo esteticamente . I giochi del decor e dei vestiti dei colori mi hanno gratificato..ma ho trovato la storia piuttosto inesistente..la nascita di una passione...e la passione la riesco a capire di più descritta dai ma registi occidentali. Fra
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