Intorno al mondo con Dicky - Disney e la cultura musulmana
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a cura di Ricardo Preve
DISNEY E LA CULTURA MUSULMANA
Scrivo queste righe dal Cairo, dove l’aria pesa ma non solo per il caldo. Dal mattino alla sera la luce del sole è ammorbidita da un velo di polvere e sabbia che galleggia sulla città, mescolato con il fumo di milioni di macchine, autobus, e camion che tessono un infernale labirinto di traffico nella capitale egiziana.
I leggendari caffè del Cairo sono in declino, molti hanno chiuso le porte e non solo per il Covid: i giovani ormai preferiscono Starbucks, e quell’orribile tana di grassi bollenti, e di puzzolenti pezzi di pollo carbonizzato che si chiama “Kentucky Fried Chicken”. Qualche cliente lo si trova ancora presso il classico Caffè Riche, o al Caffè degli Americani, ambedue sulla strada Talaat Harb nel vecchio quartiere. Ma gli avventori sono pochi, e perlopiù vecchi.
Ci sono ancora, sperduti qua e la nella giungla urbana di macchine sempre più grandi, affogati dalla cacofonia di claxon assordanti, intossicati dagli scarichi dei veicoli, le bancarelle dei librai. Vendono un po’ di tutto, da John Le Carrè a Naguib Mahfuz. Sono la faccia visibile della resistenza a Jeff Bezos. I librai si aggrappano alla speranza di vendere qualcosa, seduti nella polvere secca dei marciapiedi del Cairo, in una lotta contro Amazon che sanno di non poter vincere.
Mi trovo assieme alla nipote del leggendario regista egiziano Youssef Chahine (autore di “Cairo Station”, uscito nel 1958, e di tanti altri film), e discorriamo di cinema all’interno di un ufficio che ha le pareti ricoperte dalle locandine dei film da lei prodotti.
Marianne mi racconta di una controversia riguardante il film “Lightyear”. Prodotto dallo studio Pixar e distribuito da Disney, il film animato costituisce il “prequel” di “Toy Story”, e racconta la storia del leggendario avventuriero spaziale Buzz Lightyear.
Il problema viene da un bacio che l’amica di Buzz, il personaggio femminile Alisha Hawthorne (con la voce dell’attrice americana Uzo Aduba), dà a una altra donna, la sua partner lesbica.
Quattordici paesi hanno rifiutato il nullaosta alla proiezione della pellicola nei loro cinema, e fra essi l’Egitto. La Cina (il mercato cinematografico più grande del mondo) non si è ancora formalmente pronunciata, ma ha già chiesto a Disney di rimuovere la scena in questione, cosa che lo studio americano si è rifiutato di fare. Nel passato, la Cina non ha permesso scene di omosessualità nelle proprie sale cinematografiche, quindi si pensa che il film non potrà essere proiettato neanche in Cina.
La Disney aveva già fiutato la possibilità che la scena gli costasse molti soldi e, a un certo punta, l’aveva tolta dalla versione destinata alle proiezioni pubbliche.
Ma si è ritrovata ad aver da fare con attivisti sociali, ed i propri impiegati, che avevano protestato non solo contro questa decisione, ma anche contro quella che essi percepivano essere una debolezza da parte dell’amministratore delegato di Disney, Bob Chapek, nel criticare una legge firmata dal governatore repubblicano della Florida, Ron DeSantis, che molti ritengano essere “omofobia”.
Il problema per Disney (che ha più di 75.000 impiegati in Florida) è come fare per accontentare tanto l’ala più progressista dei propri impiegati, e del pubblico americano, quanto i portatori di visioni più conservative della società, con ciò intendendo non soloi paesi mussulmani, ma gli stessi Stati Uniti, laddove già i legislatori repubblicani della Florida vogliono togliere a Disney i vantaggi fiscali di cui la Società ha goduto in quello stato per decenni.
Ormai
con l’avvento dell’internet veloce, che permette a miliardi di persone di
vedere contenuti video di tutto il mondo, l’ostacolo tecnico imposto nel
passato alla visione dei film (le distanze, la necessità di spedire le pizze,
etc.,) è completamente sparito. Ma, mentre la tecnologia per vedere i film è
ormai accessibile in quasi tutti i paesi del mondo, non tutti vedono in questo
un vantaggio. L’uniformità della tecnologia cinematografica, e dei contenuti
dei film, non sempre combacia con la diversità di credenze religiosi, sociali,
e politiche.
Pensando a questo, mi chiedo quale sia la mia opinione al riguardo. Credo, dopotutto, di essere a favore della possibilità, per ogni singolo paese, di scegliere cosa vuole esibire o meno. Altrimenti, la cultura diventa una questione in mano pochi (in sostanza, da un infimo numero di esecutivi di Hollywood), col rischio di finire con un cinema omogeneizzato e con una cultura nettamente dominata dagli Stati Uniti, senza alcuna possibilità da parte dei paesi più poveri di arginare immagini e racconti sono estranei alla loro cultura e alle loro usanze.
Capisco che questa mia visione, che potrebbe essere qualificata come “talebana” da alcuni, può essere vista come antiquata. Ma credo fermamente che le leggi che garantiscono la moralità trovino sostegno, alla fine, nella cultura e nelle tradizioni di ogni popolo.
Rifletto su questo mentre esco dall’ufficio della collega, e schivo le macchine che mi passano accanto mentre attraverso le strade del Cairo. Gli egiziani amano dire che “L’Egitto è la madre di tutte le culture”, e forse questo è quello che cerca Disney: di essere la madre della cultura universale, di entrare in ogni angolo del mondo con le proprie idee. Io, però, credo che bisogna lasciare spazio anche a coloro che non accettano questa forma di invasione culturale.
Mi rendo conto che questo dibattito è appena agli inizi, e spero di suscitare i vostri commenti con queste righe.
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