Intorno al mondo con Dicky - Un ricordo in frantumi - gli scompaginati

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Intorno al mondo con Dicky - Un ricordo in frantumi

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a cura di Ricardo Preve
UN RICORDO IN FRANTUMI: “BUTCH CASSISY AND THE SUNDANCE KID”
Mi è già capitato occasioni di rivedere un film che non avevo visto da molto tempo, e di rimanere, dopo la seconda visione, perplesso su come l’indice di gradimento di un film possa cambiare cambiando l’età. O, forse, con l’aggiunta di nuove esperienze di vita che modificano il nostro parere sulle cose.
Ricordo di aver portato al cinema i miei figli, quando erano piccoli, a vedere “La carica dei 101”.
Da bambino avevo visto il film (uscito nelle sale nel 1961) ed ero rimasto assolutamente terrorizzato dal personaggio di Crudelia De Mon.
Invece, nel rivederlo quasi mezzo secolo dopo, mi ero francamente innamorato della donna! Insomma, diciamo che facevo fatica a credere che Crudelia mi avesse spaventato tanto da bambino, e uscii dal cinema ridendo sul mio cambiamento di opinione.
Pochi giorni fa ho avuto un altro simile cambiamento, ma in questa occasione sono rimasto piuttosto triste ed arrabbiato. Ho rivisto “Butch Cassidy and The Sundance Kid” (1969) di George Roy Hill con Paul Newman e Robert Redford.
 
Il film racconta la storia di due banditi americani, e di una loro amica, che scappano dall’Ovest degli USA per ricominciare le loro avventurose ruberie banche e treni nella lontana Bolivia.
Al principio del film appare una scritta che dice “La maggior parte degli eventi che vedrete sono veri”: in realtà avendo fatto ricerche dettagliate per lungo tempo sulla vita di Butch e Sundance per conto di National Geographic per un documentario che poi non si fece, posso dirvi che quasi tutto quello che si vede nella seconda parte del film, e cioè gli eventi in Bolivia, è falso.
A partire dal fatto che sebbene sia possibile che i due banditi americani (ma certamente non l’amica, ritornata prima negli Stati Uniti) siano stati in Bolivia per un breve periodo di tempo, quasi tutta la loro vita in America del Sud si svolse nella Patagonia argentina.
Ma lasciamo stare questo aspetto: non si tratta di un documentario, ma di un film di finzione destinato ad intrattenere lo spettatore.
 

Quello che mi ha stupito è come non mi abbia mai irritato nel passato il trattamento profondamente razzista del film nei confronti dei personaggi “boliviani” (chiarisco che il film fu interamente girato negli USA).
In quasi ogni scena delle avventure degli americani in Bolivia, i protagonisti locali sono, nel migliore dei casi stupidi ed ‘indifferenti, altrimenti dei vigliacchi e degli incompetenti. In contrasto, gli americani sono coraggiosi, intelligenti, e spiritosi.
Come esempio, posso citare le numerose scene in cui la polizia o addirittura un intero battaglione dell’esercito boliviano è messo in fuga da due o tre colpi di pistola da parte dei banditi americani.
O ancora la scena in cui Butch e Sundance si apprestano a derubare una banca e la guardia è troppo stupida per capire quello che sta succedendo, e continua così a proporre ai banditi la possibilità di aprire un conto nella banca.
In tante altre scene, i boliviani sorridono stupidamente, parlano come delle scimmie, o alzano mitemente le mani di fronte ai due “gringos” quando questi tirano fuori anche solo una pistola.
Per non parlare della scena finale: dopo aver ucciso a distanza ravvicinata una mezza dozzina di banditi che voleva derubarli (in sostanza, si potrebbe dire, dei loro colleghi), e numerosi poliziotti e soldati boliviani, Butch e Sundance sono mostrati come due coraggiosi eroi che escono dal palazzo in cui si sono rifugiati con le pistole in mano per affrontare il loro destino di morte gloriosa.
In altre parole, le morti dei sudamericani sono perfettamente accettabili, quelle di due americani bianchi dovrebbero strappare lacrime allo spettatore.
Segnalo un’ultima ironia: il film è stato mostrato nello storico Paramount Theater a Charlottesville, Virginia, la città in cui io vivo. Pochi giorni prima ero stato in questo stesso locale con gli alunni di una classe di cinema cui stavo insegnando, e avevamo fatto un piccolo documentario sulla segregazione nel Paramount. Dal 1930 quando era stato costruito, sino agli anni 1960, i neri potevano solo sedersi nel piano superiore, mentre quello inferiore (più comodo e bello) era riservato ai bianchi.
In tante altre scene, i boliviani sorridono stupidamente, parlano come delle scimmie, o alzano mitemente le mani di fronte ai due “gringos” quando questi tirano fuori anche solo una pistola.
Per non parlare della scena finale: dopo aver ucciso a distanza ravvicinata una mezza dozzina di banditi che voleva derubarli (in sostanza, si potrebbe dire, dei loro colleghi), e numerosi poliziotti e soldati boliviani, Butch e Sundance sono mostrati come due coraggiosi eroi che escono dal palazzo in cui si sono rifugiati con le pistole in mano per affrontare il loro destino di morte gloriosa.
In altre parole, le morti dei sudamericani sono perfettamente accettabili, quelle di due americani bianchi dovrebbero strappare lacrime allo spettatore.
Segnalo un’ultima ironia: il film è stato mostrato nello storico Paramount Theater a Charlottesville, Virginia, la città in cui io vivo. Pochi giorni prima ero stato in questo stesso locale con gli alunni di una classe di cinema cui stavo insegnando, e avevamo fatto un piccolo documentario sulla segregazione nel Paramount. Dal 1930 quando era stato costruito, sino agli anni 1960, i neri potevano solo sedersi nel piano superiore, mentre quello inferiore (più comodo e bello) era riservato ai bianchi.
 
2
recensioni
Valeria
25 Lug 2022
Dicky, ora ti tocca commentare il commento di Mario :D!
Mario
24 Lug 2022
Prima di tutto, quel film sarebbe comunque da cineteca anche solo per la bellezza sovrumana di Katharine Ross (di cui tu, a quanto vedo, hai un autografo...). Ma per il resto hai perfettamente ragione, il trattamento degli stranieri nel cinema d'azione americano è sempre stato molto parziale (se poi erano anche comunisti, non ne parliamo neanche). La cosa che mi colpisce di più, tra l'altro, è che negli ultimi anni questo atteggiamento razzista, che negli anni '70 aveva cominciato a stemperarsi un po', è tornato molto di moda. E forse non è solo una questione ideologica, anzi secondo me ha più che altro a che fare con le scelte narrative. Il repubblicano Eastwood ha raffigurato i giapponesi con maggiore umanità di come il democratico Spielberg abbia trattato i tedeschi in Saving Private Ryan. L'anno scorso ho avuto la sfortuna di vedere Greyhound, con Tom Haks, film sulla guerra nell'Atlantico (CGI invadente e falsissima) e confrontandolo con quel vecchio gioiello che è Duello nell'Atlantico (The Enemy Below, J. Mitchum e C. Jurgens!!!) sono rimasto colpito dalla incapacità di raccontare "il nemico" in termini narrativi accettabili.
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