Intorno al mondo con Dicky -Io la conoscevo bene
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a cura di Ricardo Preve
IO LA CONOSCEVO BENE
Torno anche oggi sul cinema italiano.
Il film “Io la conoscevo bene” (1965) e relativo autore, ovvero il regista italiano Antonio Pietrangeli, non sono conosciuti tanto quanto altri film e registi ad essi contemporanei.
Pietrangeli era nato a Roma nel 1919, e morì a Gaeta nell’estate del 1968 in seguito a un incidente in mare durante le riprese del suo ultimo film “Come, quando, perché” (poi completato dall’amico Valerio Zurlini). Lavorò quindi gli stessi anni in cui lavorarono grandi registi italiani quali Fellini (che nel 1960 aveva diretto “La dolce vita”, e nel 1963 “8 ½”), e Antonioni (“L’avventura”, “La Notte”, e “L’eclisse”, inizio degli anni 60), e questo forse lo relegò a un secondo piano nella stampa italiana di quegli anni, già molto impegnata a presentare i successi riscossi nel mondo dai più famosi colleghi. Anche all’interno della filmografia di Pietrangeli, è forse più conosciuto “Adua e le compagne”, uscito nel 1960 e nel quale recitarono attrici già famose come Simone Signoret, Sandra Milo e Emmanuelle Riva.
Pietrangeli era un uomo molto colto (oltre che regista era scrittore, giornalista, e traduttore, e fu sceneggiatore di vari film italiani fra i quali “La terra trema” di Luchino Visconti) e credo che il suo grande pregio sia stato quello di cogliere attraverso i suoi film, e i loro personaggi, il dramma di un’Italia che negli anni 60 stava cominciando a cambiare profondamente.
“Io la conoscevo bene” ha, a mio giudizio, dei notevoli pregi artistici non sempre apprezzati, e sui quali vale la pena trattenersi per qualche attimo, in quanto non credo siano stati sufficientemente analizzati dalla critica cinematografica.
Premetto che a me piacciono i film nei quali niente di quello che vediamo è quello che sembra, e che ci chiedono quindi di impegnarci a capire quanto stia davvero succedendo. Già il titolo del film è geniale in quanto parte da una premessa falsa: che i vari uomini (ed alcune donne) che interagiscono con il personaggio di Adriana (genialmente interpretato da una splendida Stefania Sandrelli) “la conoscevano bene”.
Sebbene il titolo del film anticipi il triste finale (non entrerò in dettagli per non rovinarne l’epilogo a chi non l’avesse visto), il regista non ci spiega chi fosse il personaggio interpretato da Sandrelli. È vero che capiamo subito che Adriana, figlia di contadini e aspirante attrice a Roma, cerca di lavorare ai margini dell’industria del cinema negli anni 60 in Italia.
Pietrangeli ci racconta piccoli scorci della sua vita: come gli uomini si approfittino di lei, una ragazza ingenua e arrivata da poco nella grande citta, in cui non conosce nessuno, attraente proprio per questo suo candore (unito ovviamente alla bellezza), senza rivelarne però i pensieri.
Ci racconta come si comporta: ha incontri casuali con tanti uomini, balla, prende il sole, passa molte ore ad ‘ascoltare musica (la colonna sonora del film è bellissima, con brani quali “Mani bucate” di Sergio Endrigo e “Toi” con la voce di Gilbert Becaud), insomma sembra comportarsi come una ragazza senza cervello e priva di quella malizia e determinazione necessarie per trionfare nella vita.
Tuttavia Pietrangeli non ci racconta mai chi veramente sia Adriana: ce lo lascia indovinare attraverso la magnifica fotografia di Armando Nannuzzi (certe scene, come la festa sul terrazzo o la sequenza in cui Adriana guida la sua 500 per le strade di Roma all’alba sembrano presagire quelle de “La Grande Bellezza” di Paolo Sorrentino), e attraverso inquadrature che apparentemente dicono poco, ma in realtà raccontano molto.
Per esempio, nella prima scena del film vediamo Adriana in bikini sdraiata sulla sabbia di una spiaggia piena di spazzatura. Trovo geniale in questa scena il contrasto fra il corpo splendido della Sandrelli, e la squallida bruttezza della spiaggia sporca.
Con questa immagine Pietrangeli introduce il tema del contrasto tra la bellezza (anche interiore) della giovane ragazza, e il brutto mondo che la attende. Siamo ben lontani dallo splendore degli ambienti eleganti e raffinati di “La dolce vita”.
Questo dualismo fra il bello e il brutto è infatti il filo conduttore di altre scene, come quella in cui Adriana è sdraiata per terra nel salotto del suo piccolo appartamento, e guarda con i suoi bellissimi occhi attraverso la finestra in direzione del Tevere che scorre sotto … pieno di spazzatura.
Ci sono poi parecchie inquadrature in cui i riflessi sono usati come una metafora per raccontare la distanza fra le apparenze e la realtà. Per esempio, quando viene annunciato il nome di Adriana in questura e il questore non si presenta subito, ma ne vediamo il riflesso sul vetro della sua scrivania.
Trovo anche magnifiche le inquadrature della scena dell’ultima fuga notturna di Adriana, quando percorre Roma in compagnia di un uomo di colore. A un certo punto, i due sono seduti in una macchina sportiva di fronte ad una enorme gabbia piena di uccelli che sembrano avvoltoi. La gabbia la vediamo riflessa sul parabrezza della macchina: racconta quindi del contrasto fra la libertà dell’Italia del “miracolo” - che si permette di girare in macchina dappertutto e a qualsiasi ora - e le anime di persone come Adriana, consapevoli di vivere in realtà in una gabbia dalla quale non si può scappare.
Forse per questo Adriana è più integralmente se stessa, e Pietrangeli ce la lascia vedere più da vicino, quando si trova con uomini sconfitti, un po’ come lei: un boxer incontrato per strada subito dopo aver perso una lotta, o il custode notturno di un garage con il quale mantiene un fugace incontro sessuale.
Questo mistero sulla vera identità di Adriana viene magnificamente suggerito da Pietrangeli in una scena in cui lei si sveglia nel letto di un intellettuale (il “professore”), il quale inizia un monologo in cui la descrive: “… vive minuto per minuto. Prendere il sole, sentire i dischi, e ballare sono le sue uniche attività. Per il resto è volubile, incostante, ha sempre bisogno di incontri nuovi, non importa con chi … con sé stessa mai”. E cosi che la vedono gli uomini: splendida ma inconcludente.
Pietrangeli invece va aldilà di questo apprezzamento superficiale di Adriana, e ci suggerisce che c’è di più, anzi molto di più, nell’anima di Adriana, ma non ce lo mostra esplicitamente: ce lo lascia indovinare, attraverso i riflessi, la musica, l’immondizia per la strada, ed il triste finale.
1
recensione
Patrizia Veroli
12 Mar 2023
Caro Ricardo, ti ringrazio di questo stimolo. Non ho visto questo film. Lo debbo cercare e poi mi confronterò con le tue osservazioni.
Pensa a quanto siamo diversi: io sono stata sempre un'appassionata della cultura americana, e ho schivato la commedia all'italiana di cui non sono stata capace di cogliere l'ironia su una società, la nostra, che ritenevo ipocrita e convenzionale e da cui cercavo di scappare in tutti i modi. Ora mi fa piacere riappropriarmi della mia storia anche dal punto di vista cinematografico. Grazie!!!
Pensa a quanto siamo diversi: io sono stata sempre un'appassionata della cultura americana, e ho schivato la commedia all'italiana di cui non sono stata capace di cogliere l'ironia su una società, la nostra, che ritenevo ipocrita e convenzionale e da cui cercavo di scappare in tutti i modi. Ora mi fa piacere riappropriarmi della mia storia anche dal punto di vista cinematografico. Grazie!!!