Gianfranco Ayala fotografo e cineasta - 3
SPECIALS
3. SARDEGNA
GA
La Sardegna
costituisce un capitolo particolare della mia esperienza giovanile di fotografo
della strada. Avrò avuto 24 o 25 anni. Ero riuscito ad acquistare una
motocicletta di seconda mano. Cominciai così a girare il sud della Sardegna, andando
per Carbonia e gli altri paesi vicini. Ci presi davvero gusto. Vissi però una
situazione diversa da quella che avevo assaporato in Sicilia. Nonostante a
Caltanissetta tutti sapessero chi ero, nessuno mi aveva mai invitato a entrare
in casa. In Sardegna, invece, mi facevano entrare nelle loro dimore, presumo
povere come presumo lo fossero quelle di Caltanissetta. Alcune erano addirittura
su palafitte. Nel libro del 2018 non ho inserito fotografie della Sardegna,
perché quel volume è nato come un debito d’onore nei riguardi di Caltanissetta.
Ci sono fotografie scattate in Sardegna nel catalogo realizzato dall’Istituto
LUCE.
PV
Dopo
l’esperienza giovanile, la vita negli Stati Uniti, un paese così
straordinariamente diverso negli anni ’60 dalla tua Sicilia, non ti ha mai
sollecitato il desiderio di prendere la macchina fotografica?
GA
Ho scattato
una marea di fotografie in America, ma non mi ha mai animato quel fuoco che
avevo avuto in Sicilia. La mia principale motivazione era la mia professione.
PV
Hai mai
rimpianto di non avere fatto il fotografo e il cineasta?
GA
Mia madre
era torinese e figlia di un industriale. Era stato deciso che io avrei frequentato
il Politecnico e mi sarei laureato in Ingegneria. Io volevo invece andare a Roma al Centro
Sperimentale di Cinematografia che si stava formando a quei tempi. Quando dissi
la cosa in famiglia, scoppiò uno scandalo, un vero caos. Fatto è che io non
volevo assolutamente fare l’ingegnere, e possibilmente finire a lavorare per la
FIAT. Il fratello maggiore di mio nonno, che era stato il nostro capofamiglia, aveva
diretto la clinica neurologica dell’Università di Bologna. Ero disperato ed
ebbi una folgorazione per salvarmi. A pranzo azzardai: “E se facessi il medico
e diventassi neurologo come lo zio Peppino?” Il nonno fu felicissimo ed approvò
immediatamente, la nonna intervenne anche lei in supporto a questa soluzione, e
la mamma dovette cedere al compromesso. Però andai a Torino, e non a Bologna.
Debbo riconoscere il grande contributo che mia madre ha dato alla mia vita,
mandandomi a Torino: è stato lì, grazie alla formazione ed alla totale
differenza culturale dalla Sicilia di allora, che mi sono allargate le
prospettive, quelle che poi mi hanno portato negli Stati Uniti nel 1963. Se non
fossi emigrato, la mia vita sarebbe stata certo molto diversa, magari sarei
diventato un fotografo ma a Caltanissetta.
Penso però in sostanza di avere sbagliato mestiere.
1 recensione
Mario
04 Ott 2020
"Debbo riconoscere il grande contributo che mia madre ha dato alla mia vita, mandandomi a Torino: è stato lì, grazie alla formazione ed alla totale differenza culturale dalla Sicilia di allora, che mi sono allargate le prospettive, quelle che poi mi hanno portato negli Stati Uniti nel 1963" Chissà se qualcuno è stato capace, o lo sarà mai, di raccontare degnamente la grande stagione che si svolse a Torino ed in piemonte tra gli anni '40 e '50, piena di intellettuali, scienziati ed imprenditori (Einaudi, Olivetti, Ferrero e tanti altri) che davvero avevano intravisto il sistema per portare l'Italia all'avanguardia tra le nazioni più sviluppate... e che tristezza pensare come questa possibilità sia stata completamente persa.