Guggenheim(s) - gli scompaginati

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Guggenheim(s)

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a cura di Valeria Lelli

Dalle Biblioteche ai Musei, per parlare di due edifici che hanno fatto la Storia dell'Architettura.

Tralasciando le innumerevoli gallerie finanziate dalla famiglia dei celebri collezionisti americani, tre sono attualmente i musei sparsi intorno al mondo che portano il loro nome. Solomon Guggenheim (1861-1947) facoltoso industriale e ideatore della fondazione che porta il suo nome, fece in tempo a incaricare Frank Lloyd Wright della costruzione del primo, a New York, che l'architetto tuttavia mai vide costruito, morendo, infatti, più di dieci anni prima della sua inaugurazione, avvenuta nel 1959. Alla nipote Peggy (1898-1971) e alla sua attività, concentrata soprattutto in Europa, è legato il secondo di questi musei, ospitato nel Palazzo Venier dei Leoni, a Venezia, acquisito dalla collezionista nel 1949, inizialmente in funzione di propria residenza. Nel 1969 la Peggy Guggenheim Collection confluì nella Solomon Guggenheim Foundation. Ed è a quest'ultima che si deve la costruzione della terza sede museale legata alla famiglia, il Museo Guggenheim Bilbao, progettato dall'architetto americano Frank Gehry.
Una quarta sede, Guggenheim Abu Dhabi, dovrebbe essere inaugurata nel 2022.
Solomon R. Guggenheim
Frank Lloyd Wright,  Hilla Von Rebay e Solomon Guggenheim
Peggy Guggenheim
VENEZIA - Peggy Guggenheim Collection
La sede di Venezia, come vi ho accennato, nasce come residenza affacciata sul Canal Grande: edificata dalla famiglia Venier Leoni nel XVIII secolo, e rimasta incompiuta (il volume si limita ad un solo piano), una volta acquisita da Peggy Guggenheim venne considerata sufficientemente idonea, secondo gli schemi museali del tempo, ad ospitare e aprire al pubblico la collezione della proprietaria. L'edificio non presenta in sé elementi di particolare interesse architettonico ma mi offre un buon pretesto per evidenziare quali fossero fino ad allora, gli schemi distributivi dei musei. Poco incidono le dimensioni limitate degli ambienti determinate dall'originaria funzione di questo edificio: nella sede della Peggy Guggenheim Collection, come nella gran parte dei musei che tutti noi abbiamo visitato, il pubblico si muove in una successione di ambienti di forma regolare (spesso disposti intorno ad una grande corte centrale, come nel caso del British Museum o del Louvre) secondo un percorso non sempre lineare e intuitivo, vista la frequente presenza di ulteriori sale ai lati del percorso stesso. Gli ambienti beneficiano in genere di una forte preponderanza di illuminazione artificiale.
Tale concetto distributivo non venne modificato fino al secondo dopoguerra.

NEW YORK - Solomon R Guggenheim museum
Fino, cioè al Guggenheim di New York, la cui progettazione venne affidata dal magnate e dalla curatrice della sua fondazione, la baronessa Hilla von Rebay, a Frank Lloyd Wright. Era il 1947, e l'architetto aveva già da un pezzo consolidato la sua fama; di lui già nel 1936, nel suo The Big Money, terzo volume della trilogia U.S.A. ("grandiosa cronaca della trasformazione degli Stati Uniti in potenza mondiale" (1), che credo di avervi pure proposto), John Dos Passos scriveva "The son and grandson of preachers, he became a preacher in blueprints (2), projecting constructions in the American future, instead of the European past". Insomma Solomon e Hilla si rivolsero ad un architetto capace di abbandonare il classicismo di matrice rinascimentale che era lo stile predominante negli Stati Uniti in quell'epoca, per costruire l'edificio che doveva ospitare la collezione di opere da loro definite di "arte non oggettiva": quelle, ad esempio, di Vasily Kandinsky, Paul Klee e Marc Chagall, per annoverare alcuni degli artisti che vi sarebbero stati esposti.
(1) Umberto Rossi
(2) I blueprint sono le copie eliocianografiche dei disgni a china su carta lucida: altri tempi!!
"Mi serve un combattente, un amante dello spazio, un ideatore, uno sperimentatore ed un uomo saggio”, scriveva in proposito Hilla von Rebay a Frank Lloyd Wright. Il risultato fu  l'edificio che tutti noi conosciamo, e che, prima ancora di connotarsi come il volume iconico e riconoscibilissimo, stravolse la concezione della visita museale: non un susseguirsi di sale ma - seppur a corona di un vuoto centrale  assimilabile alla corte dei grandi musei della tradizione - un percorso continuo, a spirale, in discesa; non luce artificiale ma un morbido (e necessariamente mutevole) fluire di luce naturale radente dall'alto; addirittura, non pareti rettilinee, che meglio si presterebbero ad ospitare le tele, ma pareti curve; non pavimenti orizzontali, ma inevitabilmente pendenti.

Edificio di carattere dirompente, anzi, si potrebbe dire, "dissacrante" - se andiamo a vedere - in quanto ispirato da un precedente progetto dello stesso Wright, il Gordon Strong Automobile Objective, in cui la rampa spiraliforne era destinata, invece, all'ascesa di automobili. Cosa si poteva immaginare di più distante dalla rigida impostazione che fino ad allora - il progetto venne sostanzialmente completato nelle sue linee essenziali già nel 1945 - aveva guidato la progettazione delle sale museali? Eppure proprio quel museo, in cui forse ancora oggi qualcuno si stizzisce a dover appendere tele diritte su pareti curve, ha aperto la strada ad una profonda innovazione degli spazi museali, capostipe dunque di una serie di arditi edifici degli anni a venire.

(Piccola chiosa: senza invecchiare affatto col passare degli anni, che sono  già  60 dalla sua inaugurazione; e la ricorrenza gli ha valso, l'anno scorso, l'iscrizione nel World Heritage List dell'UNESCO).



Gordon Strong Automobile Objective



Pianta, prospetto e sezione (fonte: Archiweb)

BILBAO - Museo Guggenheim Bilbao
Insomma anche il ben noto Guggenheim di Bilbao raccoglie - lungamente metabolizzata ed arricchita di contenuti, ma soprattutto di progressi tecnologici - l'eredità del suo fratello maggiore statunitense.
Ne è autore Frank Owen Gehry, classe 1929, nativo canadese ma da sempre operante negli Stati Uniti, esponente della corrente architettonica del "decostruttivismo" ("smembramento dell'architettura nei suoi componenti strutturali e spaziali" - Paolo Favole), vincitore già nel 1986 del prestigioso Pritzker Prize - sostanzialmente il Nobel dell'Architettura.

2007: prima visita del Guggenheim, ed ero senza macchina fotografica!!
Gehry, fortemente influenzato dalla scultura, elabora il suo edificio proprio partendo dalla modellazione solida: legno, tela, plastica, sono scolpiti, piegati, stampati, a esplorare decine di variabili. I modelli così ottenuti vengono scannerizzati tridimensionalmente, e le coordinate che ne derivano sono trasferite su appositi programmi (gli stessi che vengono utilizzati per la progettazione degli aerei) consentendo lo sviluppo e lo studio degli spazi interni, la complessa progettazione esecutiva e infine - grazie all'interfaccia con i macchinari - addirittura la produzione dei singoli componenti.
Lo spazio interno che ne scaturisce, è un insieme vario e articolato di ponti di collegamento, sale, ascensori vetrati e scale, innestati sullo snodo della grande hall centrale, cuore pulsante dell'edificio, al pari dell'atrio del Guggenheim di NY.  
Questo "museo automuseante", come lo ha definito Alessandro Mendini, dà poi il meglio di sé nei volumi esterni, macrosculture dal rivestimento in lamine di titanio, che registrano, riflettendole, le più impercettibili variazioni di luce e di colore del cielo - il passaggio delle nuvole, le transizioni all'alba e al tramonto - ed inglobano con la naturalezza di creature viventi, ponti veicolari, transiti ferroviari, passerelle pedonali, specchi d'acqua, finendo col connotare con la propria presenza una area urbana di discrete dimensioni. Un edificio insomma che all'esterno si impone alla sguardo del visitatore, offrendo infinite diverse visuali, e all'interno lo cattura in uno spazio vertiginoso e affascinante.
Infine, se tutto ciò non bastasse a fare del Guggenheim un assoluto capolavoro dell'architettura, suo merito indiscusso è anche quello di aver portato a pieno compimento la conversione di Bilbao da città industriale, ormai in declino, a gettonatissima meta turistica, in accordo col disegno della attenta amministrazione locale che in tal direzione formulò, a partire dal 1988, un articolato piano di ristrutturazione. Detto quanto sopra, se vi interessasse curiosare sul personaggio Gehry, oggi 91enne, potrete vedere il documentario su di lui girato da Sydney Pollack, Frank Gehry - Creatore di sogni (Sketches of Frank Gehry), che ho visto essere disponibile anche su YouTube:
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Gli Scompaginati - circolo di lettura - via assarotti 39 - genova ITALY
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