Paolo Paci - gli scompaginati

Vai ai contenuti

Paolo Paci

I NOSTRI OSPITI
Cari amici scompaginati,

 vi ringrazio per avermi ascoltato nelle mie incerte letture e per accogliere queste righe sul vostro sito. Scrivere per campare, come ho fatto io negli ultimi 40 anni, non sempre passa attraverso pagine di fine grammatica. Quasi mai. Lo scrittore professionista deve adattarsi, contentare i clienti, pensare con umiltà e scrivere con serietà, anche quando ciò che gli viene richiesto serio non è. La genesi del mio ultimo romanzo è tutta lì.
All’inizio della mia vicenda professionale, parliamo della fine degli anni settanta, ero bruciato da diverse passioni. Avrei dato una mano per poter tenere per mano quella ragazza. Avrei venduto l’anima al diavolo per riuscire a tirare il VI grado. E pur di scrivere, avrei volentieri scritto la lista degli ingredienti sulle scatole dei biscotti. Mi sarei contentato. Non sapevo (sventurato) che la contentezza non dura nemmeno lo spazio di un mattino. Della ragazza avrei voluto il corpo e l’anima, il VI grado non impressionava più nessuno e per quanto riguarda lo scrivere, be’…
Ho provato con la poesia, cos’altro? E ho avuto l’illusione di riuscirci, tanto da vincere un premio, una pubblicazione e perfino dei soldini. Tranne scoprire, poi, che era tutto un equivoco. Che il patron del premio, fervente comunista, si era innamorato di un mio verso (“quell’ultima margherita di ottobre”) convincendosi che si riferisse alla Rivoluzione russa, mentre io più che di politica parlavo di botanica. Ma è da questi minimi scarti tra realtà e immaginario che nasce la vera poesia, no?
Comunque, lasciati gli endecasillabi senza troppi rimpianti, sono passato alle liste degli ingredienti. Non scrivevo sulle scatole di biscotti però, ma sulle riviste patinate di viaggi e turismo, parola (il turismo) di cui noi redattori ci vergognavamo un poco per cui non la scrivevamo mai. Per farla breve, ho trascorso i decenni successivi a fare il turista, ops!, il viaggiatore di lusso. Dicevo a tutti che scrivevo reportage, dai quattro cantoni del mondo, ma quello che mi ricordo di più, di tutto questo gran viaggiare, non sono i luoghi ma i non-luoghi. Grandi alberghi, musei, hall di aeroporti, ristoranti di cucina internazionale e ancora grandi alberghi. A un certo punto mi sono voltato indietro e ho considerato il mondo che avevo visitato: le Hawaii erano uguali ai Caraibi, Bangkok si confondeva con Lagos e New York era un fondale di cartone da telefilm. Scaduti i primi vent’anni di questa melassa indistinta, ho scritto un libro che Feltrinelli mi ha gentilmente pubblicato. Si intitolava “Evitare le buche più dure” e parlava dei viaggi di cartone. Anzi, di carta patinata.
Mai sputare nel piatto in cui si mangia, però. Il giornalismo di viaggio, con tutte le sue bugie, mi ha dato di che vivere e mantenere qualche figlio, e io sono grato ai vari editori che mi hanno permesso di fare il turista professionale e soprattutto agli inserzionisti che hanno pagato tutto questo. Ma… quella passione (nobile) per il VI grado, per la Scrittura maiuscola? Insoddisfatta, e ancora accesa come brace sotto la cenere.
La mia salvezza è sempre stata la montagna. L’andare in montagna, pur coi miei limitati mezzi, ha evitato che mi perdessi. Nella droga, nella falsa politica o in qualche grigio impiego. La montagna è stata il vero motore della mia vita e, in ultima analisi, del mio scrivere. Anche nei miei finti reportage di viaggio, qualche alta quota faceva sempre capolino, e quanti articoli ho inventato, dalle Alpi all’Alto Atlante, dagli Appennini alle Ande, pur di potere salire una cima. Quello che non potevo scrivere sulle riviste (ci sono un sacco di cose che è vietato scrivere sulle riviste: ad esempio, che un posto è brutto), lo scrivevo nei libri. Ho pubblicato libri di viaggio e saggi di montagna per tanti altri editori, oltre a Feltrinelli, Mondadori, Sperling & Kupfer, San Paolo, Corbaccio e altri ancora, non tutti consapevoli che (finalmente) avrei detto la verità. I miei ultimi titoli hanno come protagonisti i giganti delle Alpi, il Cervino, il Monte Bianco, l’Eiger, e le passioni e le follie degli uomini che brulicano ai loro piedi e sulle loro creste. Non sempre passioni nobili. Non sempre cime meravigliose. La Realtà, in montagna e nella scrittura, non è una limpida giornata d’estate, ma il chiaroscuro. La mezza stagione.
Questa irruzione della Realtà si è compiuta, infine, nell’ultimo mio libro che avete avuto tra le mani. “L’ora più fredda” edito da Solferino. Perché non c’è come la fiction per raccontare la verità. L’invenzione del romanzo supera le ambiguità della cronaca, le esitazioni bibliografiche del saggio, e va al cuore delle cose. Non sto a ripetervi la trama del romanzo, l’avete letto o forse lo leggerete. Vi dico solo che è tutto vero. Quanto meno, potrebbe esserlo.
Paolo Paci ha iniziato la carriera giornalistica nel 1983, e da quest'anno è direttore scientifico di Meridiani Montagne, bimestrale di cultura alpina dell’Editoriale Domus
Gli Scompaginati - circolo di lettura - via assarotti 39 - genova ITALY
Gli Scompaginati - circolo di lettura via assarotti 39 - genova ITALY
Torna ai contenuti