Paolo Paci
I NOSTRI OSPITI
Cari amici scompaginati,
All’inizio della mia vicenda professionale, parliamo della fine degli anni settanta, ero bruciato da diverse passioni. Avrei dato una mano per poter tenere per mano quella ragazza. Avrei venduto l’anima al diavolo per riuscire a tirare il VI grado. E pur di scrivere, avrei volentieri scritto la lista degli ingredienti sulle scatole dei biscotti. Mi sarei contentato. Non sapevo (sventurato) che la contentezza non dura nemmeno lo spazio di un mattino. Della ragazza avrei voluto il corpo e l’anima, il VI grado non impressionava più nessuno e per quanto riguarda lo scrivere, be’…
Ho provato con la poesia, cos’altro? E ho avuto l’illusione di riuscirci, tanto da vincere un premio, una pubblicazione e perfino dei soldini. Tranne scoprire, poi, che era tutto un equivoco. Che il patron del premio, fervente comunista, si era innamorato di un mio verso (“quell’ultima margherita di ottobre”) convincendosi che si riferisse alla Rivoluzione russa, mentre io più che di politica parlavo di botanica. Ma è da questi minimi scarti tra realtà e immaginario che nasce la vera poesia, no?
Comunque, lasciati gli
endecasillabi senza troppi rimpianti, sono passato alle liste degli
ingredienti. Non scrivevo sulle scatole di biscotti però, ma sulle riviste
patinate di viaggi e turismo, parola (il turismo) di cui noi redattori ci
vergognavamo un poco per cui non la scrivevamo mai. Per farla breve, ho
trascorso i decenni successivi a fare il turista, ops!, il viaggiatore di
lusso. Dicevo a tutti che scrivevo reportage, dai quattro cantoni del mondo, ma
quello che mi ricordo di più, di tutto questo gran viaggiare, non sono i luoghi
ma i non-luoghi. Grandi alberghi, musei, hall di aeroporti, ristoranti di
cucina internazionale e ancora grandi alberghi. A un certo punto mi sono
voltato indietro e ho considerato il mondo che avevo visitato: le Hawaii erano
uguali ai Caraibi, Bangkok si confondeva con Lagos e New York era un fondale di
cartone da telefilm. Scaduti i primi vent’anni di questa melassa indistinta, ho
scritto un libro che Feltrinelli mi ha gentilmente pubblicato. Si intitolava
“Evitare le buche più dure” e parlava dei viaggi di cartone. Anzi, di carta
patinata.
Mai sputare nel piatto
in cui si mangia, però. Il giornalismo di viaggio, con tutte le sue bugie, mi
ha dato di che vivere e mantenere qualche figlio, e io sono grato ai vari
editori che mi hanno permesso di fare il turista professionale e soprattutto
agli inserzionisti che hanno pagato tutto questo. Ma… quella passione (nobile)
per il VI grado, per la Scrittura maiuscola? Insoddisfatta, e ancora accesa
come brace sotto la cenere.
La mia salvezza è
sempre stata la montagna. L’andare in montagna, pur coi miei limitati mezzi, ha
evitato che mi perdessi. Nella droga, nella falsa politica o in qualche grigio
impiego. La montagna è stata il vero motore della mia vita e, in ultima
analisi, del mio scrivere. Anche nei miei finti reportage di viaggio, qualche
alta quota faceva sempre capolino, e quanti articoli ho inventato, dalle Alpi
all’Alto Atlante, dagli Appennini alle Ande, pur di potere salire una cima.
Quello che non potevo scrivere sulle riviste (ci sono un sacco di cose che è
vietato scrivere sulle riviste: ad esempio, che un posto è brutto), lo scrivevo
nei libri. Ho pubblicato libri di viaggio e saggi di montagna per tanti altri editori,
oltre a Feltrinelli, Mondadori, Sperling & Kupfer, San Paolo, Corbaccio e
altri ancora, non tutti consapevoli che (finalmente) avrei detto la verità. I
miei ultimi titoli hanno come protagonisti i giganti delle Alpi, il Cervino, il
Monte Bianco, l’Eiger, e le passioni e le follie degli uomini che brulicano ai
loro piedi e sulle loro creste. Non sempre passioni nobili. Non sempre cime
meravigliose. La Realtà, in montagna e nella scrittura, non è una limpida
giornata d’estate, ma il chiaroscuro. La mezza stagione.
Questa irruzione della
Realtà si è compiuta, infine, nell’ultimo mio libro che avete avuto tra le
mani. “L’ora più fredda” edito da Solferino. Perché non c’è come la fiction per
raccontare la verità. L’invenzione del romanzo supera le ambiguità della
cronaca, le esitazioni bibliografiche del saggio, e va al cuore delle cose. Non
sto a ripetervi la trama del romanzo, l’avete letto o forse lo leggerete. Vi
dico solo che è tutto vero. Quanto meno, potrebbe esserlo.
Paolo Paci ha iniziato la carriera giornalistica nel 1983, e da quest'anno è direttore scientifico di Meridiani Montagne, bimestrale di cultura alpina dell’Editoriale Domus