Le vostre opinioni su IL MAESTRO E MARGHERITA - Copia - gli scompaginati

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Le vostre opinioni su IL MAESTRO E MARGHERITA - Copia

I LIBRI CHE ABBIAMO LETTO
A grande richiesta, dopo il suo fenomenale intervento nel corso della serata su Zoom, qui oltre la lettura, profonda e sfaccettata, che l'ottimo Mario ci da del capolavoro russo. Servitevi dei commenti per interloquire con lui!

“Tanti sono capaci di scrivere storie basate su sogni,
 
ma solo pochissimi hanno il dono di farti sentire che il sogno di cui si parla sia stato fatto da te”
 
Tormentone su Murakami Haruki.
 
 



Mi avete chiesto di mettere per iscritto le mie impressioni di lettura sul Maestro e Margherita, come ce l'eravamo scambiate l'altra sera. C’è però un problema: quel romanzo ha creato in me un tale scombussolamento, che le cose che ho detto l'altra sera rappresentano solo una parte di tutto ciò che avrei voluto dire. Decenza e rispetto per le vostre persone mi avevano imposto di non debordare, ma scrivendo queste righe non vi userò la stessa cortesia.
D'altra parte, la pagina scritta ha questo di bello rispetto ad una riunione su Zoom, che uno può andarsene quando vuole senza passare per maleducato.
 
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Se dovessi sintetizzare in poche parole ciò che esprime in maniera più significativa la grandezza di questo capolavoro, farei sicuramente un elenco con due pallini:
·        il Maestro e Margherita sviluppa e porta a conclusione il tema principale della letteratura moderna: quello del silenzio di Dio, del bisogno (o forse dell'impossibilità) di dare un significato alla nostra esistenza in un mondo nel quale la religione non rappresenta più il fondamento della cultura;
·        il Maestro e Margherita è una delle opere della letteratura mondiale che consentono (anzi, per essere più precisi, che richiedono) il maggior numero di livelli di lettura. E’ il libro di cui Joyce, Borges o Calvino hanno sempre sognato: quello che si completa solo nel momento in cui viene letto.
Adesso cercherò di motivare queste affermazioni formulate in maniera così saccente.
 
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Avevo iniziato la lettura del libro come se si trattasse di un romanzo normale, anche se, avendolo già letto da giovane (senza capirlo molto, peraltro) sapevo già che di normale in questo romanzo non c'è proprio niente.
In effetti la lettura dei primi capitoli può essere affrontata limitando l'esperienza al piano della semplice narrazione degli eventi. La prima cosa che colpisce il lettore, e che mi sembra abbia in effetti colpito proprio tutti noi, è la qualità straordinaria della scrittura: grazie alla quale, come ha detto qualcuno l'altra sera, nel giardino di Pilato sembra di vedere ciascuna foglia di palma. Il tormentone su Murakami che ho messo in epigrafe è assolutamente appropriato al nostro caso. Quello di Bulgakov è uno sfoggio di bravura che varrebbe da solo la lettura del libro: basti pensare al cambio di registro che interviene tutte le volte che si passa dal romanzo di Mosca a quello di Gerusalemme. E già qui le cose si fanno interessanti, perché sul piano narrativo le due fabule creano un contrasto oltremodo eloquente. In ciascuno dei due romanzi assistiamo all'incontro dell'uomo con il trascendente, rappresentato dal diavolo in un caso, da Gesù nell'altro; in ciascuno dei due romanzi l'uomo non riconosce chi ha di fronte. Le conseguenze di questa impossibilità dell'uomo di confrontarsi con il trascendente sono tragiche a Gerusalemme, ma comiche a Mosca. Come dire che la commedia è ciò che di trascendente rimane all'uomo quando Dio se n'è andato (in Paradiso, si sa, si è troppo felici per farsi quattro risate; non è per questo che Jorge da Burgos voleva tenere nascosto il secondo libro della poetica di Aristotele? ma non divaghiamo).
Quando si superano i primi capitoli, però, succede (o perlomeno è successa a me) una cosa strana: man mano che le situazioni diventano più incredibili e paradossali, man mano che procede l'accumulazione dei poveri moscoviti nella casa di cura del professor Stravinsky, diventa pressante l'esigenza di dare un significato più preciso alla storia che si sta scoprendo (detto tra parentesi: la gioia della lettura per me consiste in questo, nel lavoro necessario per interpretare la vicenda che viene raccontata, nel gioco di unire i puntini disseminati dall'autore in modo da fare apparire il disegno nascosto sotto l'intreccio. Per questo non mi piacciono i romanzi dove tutto è spiegato per benino, e dove l'autore ci annoia con l’esposizione del suo pensiero più o meno profondo. Ma ecco, vedete, sto divagando di nuovo).
Scattano, così, le Domande Fondamentali che chi ha amato il libro si è sicuramente posto: chi è davvero Woland? Perché i diavolacci, che nel libro primo sono così terribili, nel secondo libro assumono un atteggiamento quasi bonario? Che cosa rappresentano il Maestro e Margherita? Che cosa succede realmente a loro alla fine della storia? E soprattutto, perché la loro vicenda è legata a quella del Golgota?
 
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A questo punto la rete dei sentieri che si biforcano diviene così complicata che è difficile seguirla.
Se partiamo dall’assunto che il Maestro è la trasposizione letteraria dell’autore stesso (che, come sappiamo, bruciò la propria opera esattamente come il Maestro fa nel libro), allora giungiamo ad un secondo livello di lettura, in cui il romanzo può essere inteso come una denuncia grottesca della società.  In questo senso Woland, che stravolge l’esistenza dei poveri moscoviti, che li disloca senza ragione a Yalta (non in Siberia, per fortuna: questi diavolacci a ben vedere non sono poi così cattivi) può rappresentare lo Stalinismo stesso.
Questa è però una spiegazione solo parzialmente appagante, perché nella parte più significativa del romanzo, quella relativa al grande spettacolo di magia nera, Woland sembra rappresentare l'esatto opposto del regime comunista, vale a dire le lusinghe del consumismo capitalista:  le banconote che cadono dal cielo (e che diventano dollari, addirittura!), gli abiti ed i profumi di Parigi offerti al pubblico femminile, i cibi raffinati che compaiono sempre quando ci sono i diavoli in giro.
Comunista o capitalista che sia, Woland sa benissimo che, per controllare gli uomini, i beni materiali sono l'esca perfetta. La grandezza dei romanzo, se lo vogliamo leggere come romanzo satirico, è che il suo bersaglio non è un regime oppure l'altro, bensì l’uomo della strada, con la sua grettezza che gli impedisce di cogliere il senso delle cose, con i suoi orizzonti limitati al desiderio di un appartamento in centro o di un abito da sera. E se una feroce satira c’è del regime comunista, è molto più sottile, e la si può cogliere nei commenti che Woland e compagni si scambiano quando all'inizio della rappresentazione sono loro che guardano il pubblico in sala e non viceversa, e Woland commenta: erano un po' di anni che non li vedevo, ma non mi sembrano cambiati per niente. Altro che il nuovo uomo sovietico, altro che la nuova umanità destinata a diventare protagonista della Storia: i moscoviti sono rimasti i borghesucci di sempre, quelli che già Dostoevskij detestava, ed è questo il grande fallimento della Rivoluzione, che Woland, personificando la Storia stessa, osserva con raccapriccio.
Abbiamo così tre diverse ipotesi su Woland, tutte legate al secondo livello di lettura del romanzo.
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È giunto il momento però di passare al terzo livello di lettura, quello che mi ha appassionato di più, quello per così dire “filosofico”.
Dio è morto, ma noi non è che stiamo tanto bene. Se Dio non esiste, il diavolo non può essere l'Avversario, semplicemente perché non ha nessuno a cui contrapporsi. Ma cosa è che, da Copernico in poi, ha cominciato a fare così tanta paura agli uomini che non hanno più un Padre presso cui rifugiarsi? Chi ha sostituito il diavolo nella personificazione di tutta l'angoscia dell'umanità?
Ciò che ci fa tanta paura è l'immenso e cieco ordigno dell'universo, il determinismo governato da un numero di variabili infinitamente superiore a quelle che possiamo controllare, il caso e la necessità da cui dipendono la nostra nascita e la nostra morte magari sotto le ruote di un tram, l’assoluta mancanza di senso della vita.
Woland secondo me rappresenta tutto questo, ed il suo incontro con le piccole vite dei moscoviti del primo libro non può concludersi che in un modo: con il trasporto in massa della popolazione al manicomio. L’allegoria, in questo caso, è così evidente che non richiede di essere spiegata.
Nel libro secondo però tutto cambia, perché compaiono i due eroi eponimi: i quali, a differenza del coro dei moscoviti del primo libro, sono portatori di una grandezza tutta loro, grazie alla quale sembrano in grado di sopportare l’insensatezza dell’esistenza. La loro grandezza è fatta di ciò che essi condividono: il loro amore reciproco, il loro libro (il Maestro l’ha scritto, ma Margherita l’ha salvato dalle fiamme, quindi è una creatura di entrambi). Non è una grandezza che li consoli: M&M sono assolutamente disperati (separati come amanti, annullati nella loro speranza di far valere il libro nel mondo). Ma è la loro disperazione che li rende grandi: il romanzo del Maestro è identico, parola per parola, al racconto di Woland su Pilato, a dimostrazione del fatto che con la sua arte l’Uomo ha potuto raccogliere lo stesso punto di vista delle forze fondamentali che reggono l’universo. E Margherita rappresenta l’intelligenza emotiva, che completa il lavoro del saggio.
L’intuizione poetica di Bulagakov qui si fa così ardita da non potere essere spiegata con linguaggio razionale, ma Margherita, che ha tutto ciò che i borghesucci della prima parte bramavano (e non ha alcun interesse a preservarlo) è pronta a entrare nel grande gioco cosmico della festa danzante di Woland. Anzi sarà la regina del ballo, perché se la nostra vita è assurda, l’universo sarebbe ancora più assurdo senza di noi. La partecipazione di Margherita alla festa danzante non è solo  l’equivalente del viaggio di Dante per uscire dalla selva oscura, o in generale di  tutte le discese agli inferi che l’eroe deve compiere per essere degno delle gesta che lo attendono: è un modo per farci capire che se la nostra vita non ha senso, spetta a noi cercare di dargliene uno (detto così sembra una canzone di Vasco Rossi, lo ammetto), e che questo senso non va cercato tentando di sfuggire al grande calderone cosmico, ma proprio tuffandoci dentro ad esso. Bulgakov risponde a tutto l’esistenzialismo romantico ed anche a quello che verrà dopo di lui, dicendoci che se la vita è assurda, questo non è un buon motivo per ciondolare a Montparnasse con maglioni neri a collo alto e l’aria disperata. Il senso della nostra vita è aggrapparci a ciò che ci rende unici, sentimentalmente e razionalmente, ed esservi fedeli.
Questa parte del libro è infatti dominata da un contrasto fortissimo tra Margherita, che diventa strega per amore, e tutti coloro che sono perennemente tormentati dal rimorso di avere distrutto, per viltà o per miopia, ciò che di sublime avevano tra le mani: il Maestro che ha bruciato il manoscritto, Pilato che ha crocifisso Gesù per salvaguardare la carriera, Frida che ha soffocato il suo bambino. Essi saranno liberi soltanto quando Margherita, l’unico personaggio che resta fedele a se stesso, avrà finalmente il potere, giunta alla fine del suo viaggio agli Inferi, di redimerli con il suo perdono.
E così, alla fine, il Maestro e Margherita raggiungono il loro paradiso terrestre, la casetta con l’edera nella quale potranno amarsi per sempre. Ma non è una salvezza di questo mondo: prima di ricongiungersi per l’eternità, i due devono morire, bevendo lo stesso Falerno che, bevuto una seconda volta, li farà rinascere in un’altra realtà. Il libro è dunque una storia di passione, morte e resurrezione, esattamente come quella che ha Pilato come protagonista.
Ed è stato qui, arrivato alle ultime pagine, che mi sono reso conto che non avevo ancora capito niente.
Perché mi era sempre mancato il quarto livello di lettura, quello che potremmo definire, con una certa ambiguità, religioso.
 
***
 
La storia che ci viene raccontata si presta ad essere letta, secondo la prospettiva dell’autore, come una Pasqua esistenzialista: il Maestro e Margherita muoiono al mondo ma approdano ad un’altra dimensione, dove ottengono il meritato riposo.
Ma se leggiamo il secondo libro con attenzione, e ci rivolgiamo solo a ciò che positivamente risulta da fatti, troviamo tutta un’altra storia, molto meno edificante. Margherita è una donna disperata, imbruttita dalla propria depressione, che una mattina si sveglia più serena solo perché sente che finalmente avrà il coraggio di porre termine ai suoi giorni. Scrive al marito un biglietto che, se lo leggiamo per quello che è nel suo testo letterale, è il messaggio di una che si va a buttare nella Moskova, e poi beve il veleno.
Margherita fa la fine di Emma Bovary o di Anna Karenina. Ed il Maestro viene trovato morto nella propria cella al manicomio.
Però il sublime inganno in cui ci attira Bulgakov ci fa credere, contro ogni ragionevolezza, che la realtà sia diversa: il biglietto che Margherita scrive è quello di chi sta per spiccare il volo, il vino che uccide è anche un elisir di immortalità, il bene trionfa sulla miseria, per i nostri eroi esiste una ricompensa nell’aldilà. Non so voi, ma io ho letto il libro credendo fino alla fine che la storia che stavo leggendo fosse davvero questa.
Ma scusate, questo non è anche lo schema narrativo del Vangelo? Non abbiamo anche lì dei fatti materiali inequivocabili – il Calvario, la Croce, la lancia nel costato, la deposizione – ed allo stesso tempo il racconto di qualcosa del tutto illogico che succede dopo, e rende la storia degna di essere ricordata per sempre?
Ecco perchè Bulgakov può accostare il romanzo di Mosca e quello di Gerusalemme: sono entrambi la raffigurazione del contrasto tra la Versione Ufficiale e la verità della fede – o, se preferite, tra la Versione Ufficiale ed il nostro bisogno di credere alle belle favole.
Il Maestro e Margherita è un romanzo religioso come può esserlo un’opera del Novecento. L’unica Novella che ci può comunicare è tutt’altro che buona: la vita è senza senso, piena di dolore e di fatica. Ma se crediamo in qualcosa che vada al di là delle nostre miserie, la nostra storia può diventare molto più bella ed interessante. E’ solo una questione di tecnica narrativa, però è la stessa sulla quale mezza umanità fonda le sue speranze da duemila anni. E che ci viene riproposta, sublime gioco di prestigio letterario, con le forme della commedia.
 
Buona Pasqua a tutti, allora, e complimenti a chi fosse riuscito ad arrivare fin qui.
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Mario
07 Apr 2021
A Clelia & Agnese: La cosa bella è proprio vedere come tante persone amino questo libro trovando in esso cose diversissime. La lettura di Clelia è un po' diversa dalla mia, ma tutto sommato mi sembra in una prospettiva simile. Diverso invece l'approccio di Agnese; devo dire che anche altri Scompaginati, in conversazioni private, mi han fatto notare che uno degli elementi fondamentali (che io non ho sottolineato) è il fantastico, che B. profonde in quantità assolutamente straripanti.
Agnese
05 Apr 2021
Non credo di riuscire a descrivere le diverse emozioni che mi hanno colto durante la lettura del Maestro e Margherita. Lo avevo letto a 20 e non avevo capito nulla. Non trovavo il senso di tutto. A 60 anni il senso l’ho trovato, sono le emozioni che Bulgakov è riuscito a scatenare. L’autore orchestra magistralmente il bene e il male che si scambiano il posto a seconda della narrazione. È il libro dove l’immaginazione vola libera. Io sono stata trascinata in queste emozioni e ho viaggiato dandogli la mano ho visto i quadri di Chagall dove l’azzurro è il rosso avvolgono personaggi che viaggiano sopra la città, poi mi ha lanciata dritta nel film Fantasia di Disney dove Topolino è il Mastro con il mantello rosso e i frac danzano con le scope in un ballo infernale. La spirale emotiva viene trascinata all’apice con volute sempre più concitate, al culmine Margherita balla nuda scatenata nei cieli di Mosca e il cielo si fa scuro a Gerusalemme. Tutto poi si calma e il lettore viene riportato dolcemente e nella dimensione della realtà. Un libro che a parere mio va letto di un fiato per poter apprezzare appieno l’orchestra. Questo è quello che ho provato leggendo.
Agnese
05 Apr 2021
Non credo di riuscire a descrivere le diverse emozioni che mi hanno colto durante la lettura del Maestro e Margherita. Lo avevo letto a 20 e non avevo capito nulla. Non trovavo il senso di tutto. A 60 anni il senso l’ho trovato, sono le emozioni che Bulgakov è riuscito a scatenare in me che non sono le stesse di Mario o di Adriana. L’autore orchestra magistralmente il bene e il male che si scambiano il posto a seconda della narrazione. È il libro dove l’immaginazione vola libera sopra i tetti. Io sono stata trascinata in queste emozioni e ho viaggiato dandogli la mano ho visto i quadri di Chagall dove l’azzurro è il rosso avvolgono lo spettatore e poiFantasia di Disney
Clelia
05 Apr 2021
Caro Mario, grazie, mi hai sollecitato ulteriori riflessioni. Il legame che avevo colto fra la parte ambientata a Mosca e quella a Gerusalemme era sostanzialmente il ricondurre i personaggi, storici o contemporanei che siano, alla loro - e nostra – profonda umanità, perciò proviamo coinvolgimento ed empatia per tutti, e ci troviamo spiazzati nel condividere persino la sofferenza e l’emicrania di Ponzio Pilato.
Ora aggiungo, pensando al tema della religiosità novecentesca che hai sollevato, che forse l’ambivalenza di Woland (diabolico e generoso), corrisponde a quella di un’umanità contraddittoria che difficilmente comprende il mondo (e chi lo comprende un po' meglio viene crocifisso o rinchiuso). La verità è una presunzione individuale, perciò il suggerimento è di non avere pregiudizi nell’accostarsi alle persone e alle situazioni. Come Margherita.
Adriana
01 Apr 2021
Spiazzante, fulminante, magistrale...
Il Maestro è, all'evidenza, lo stesso Bulgakov che, guarda caso, cita una nostra conoscenza .....
La "cittadina, pallida ed annoiata con i calzini bianchi e un berretto in testa dello stesso colore adorno di nappina", a guardia del ristorante della "Casa dello Scrittore" (sic), richieste le tessere per entrare, si sente rispondere da Korov'ev: " ... Dunque per convincersi che Dostoevskij è realmente uno scrittore, lei gli chiederebbe la tessera? (...)" - Lei non è Dostoevskij - ribatte la cittadina, confusa del discorso di Korov'ev. - Non si può mai sapere, non si può mai sapere. - Dostoevskij è morto, proseguì la donna senza troppa convinzione. - Protesto! - esclamò Ippopotamo con fervore. - Dostoevskij è immortale!
Magistrale.
Butto lì qualche sensazione: questo libro mi ha provocato un turbinio di reazioni, che ancora sto cercando di decifrare ...
ho amato il contrasto tra il dinamismo della fuga dalla realtà ( tutti che volano sopra i tetti di Mosca, liberi e denudati di ogni orpello e condizionamento) e la staticità dei poveri cittadini moscoviti ridotti in camicia di forza, sedati per necessità, perchè hanno visto "oltre" e questo è inaccettabile in qualunque società organizzata, figuriamoci in un regime ...
Questa storia è vecchia come il mondo, è universale: non è successo allo stesso Yesua?
Poi Margherita, che vola dispettosa e si prende tutte le soddisfazioni e le ven...
Valeria
21 Mar 2021
Ho finito ieri mattina Il Maestro e Margherita. Sarebbe ingiusto mi arrogassi il diritto di assegnare un voto. La realtà è che, come giustamente ha detto Mario cui ho raccontato le mie impressioni, non è tanto che questo libro non mi sia piaciuto quanto che non me lo sono goduto. Ci vuole una mente aperta, disponibile al viaggio e fresca per lasciarsi trasportare fra una avventura e l'altra, nel turbinio di personaggi e situazioni, dalle acrobazie dei voli su Mosca alle scorribande canore per le vie della città. Mi sono sentita sicuramente più a mio agio nell'aria immobile e cupa accanto allo scranno di Ponzio Pilato o al suo cane: quanto meno.... mi ricordavo i personaggi! Insomma: ammaliata a 25 ..perplessa a 57...ci riproverò a 80 anni!
(Correggo: il sistema mi impone di dare un voto e ho scelto "in medio stat virus"!
Mario
20 Mar 2021
Non basterebbe tutta la galassia per dare un numero congruo di stelle a questo capolavoro
Patrizia Del Carretto
17 Mar 2021
Un libro veramente particolare che però mi è piaciuto, anche se non è facile parlarne (per me)
Ho apprezzato molto la struttura del libro: i capitoli brevi con un andamento quasi incalzante fino ai bellissimi capitoli del volo su Mosca e della festa. Poi l’atmosfera si fa più serena come dopo una tempesta e le cose sembrano tornare alla normalità
I capitoli su Ponzio Pilato completano l’originalità del racconto
Mi dispiace questa volta non essere d’accordo con Irene
Irene
16 Mar 2021
Conscia di essere una mosca bianca dirò le motivazioni di questa pessima opinione solo in presenza di un buon avvocato...per non rischiare querele o l'ostracismo....ah ah ah
Mario
17 Feb 2021
Che goduria. Entrare in questo romanzo è come aprire una cassaforte stracolma di fantasia, intelligenza e poesia. Una commedia irresistibile sulle sorti metafisiche dell'umanità, che trova un precedente (antitetico ahimè) solo in quell'altra Commedia scritta tanto tempo fa, nonchè forse, ma purtroppo parlo di cose che non conosco, in Goethe. Un modello di scrittura creativa. Una manifestazione di puro genio, che ci fa sentire come la nostra vita sia priva di senso come quella dei piccoli moscoviti che popolano il romanzo, ma va bene così.
Gli Scompaginati - circolo di lettura - via assarotti 39 - genova ITALY
Gli Scompaginati - circolo di lettura via assarotti 39 - genova ITALY
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