gli scompaginati

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Ho scritto il mio quinto romanzo, Il segno del cavallo, (Santocono editore, 2012) per i ragazzi dei licei: perché possano così integrare, con un racconto appassionante, aride lezioni di storia e traduzioni talvolta ostiche. Seguendo rigorosamente quanto scritto da Tucidide nella sua storia della Guerra del Peloponneso, il giovane ateniese Temistogene racconta la sua avventura. Un’iliade e un’Odissea sono quindi raggruppate della Grande spedizione di Atene contro Siracusa, iniziata nel 415 A.C., e conclusa tragicamente tre anni dopo con la strage sul fiume Assinaros, la prigionia nelle Latomie, e il fortunoso ritorno a casa.
A guerra finita, Temistogene non vuol più lasciare Atene, ma un giorno Senofonte lo convince a partecipare ad un’alta impresa, questa volta in Asia, contro il re dei re. Anche il mio protagonista quindi, come Odisseo, non cessa il suo peregrinare.
Il difficile ritorno a casa dei greci, che attraversarono deserti ostili e freddi passi montani prima di poter raggiungere la salvezza sul Mar Nero, è stato mirabilmente raccontato nell’ Anabasi, un antico testo attribuito a Senofonte, ma firmato da Temistogene. Rimane ancor oggi il dubbio su chi ne sia il reale autore.
Il titolo di questo romanzo trae origine dal cavallo marchiato a fuoco sulla fronte dei settemila soldati ateniesi fatti prigionieri dai siracusani dopo la battaglia dell’Assinaros. Era una normale abitudine, quella di marchiare gli schiavi, ma in questo caso i vincitori lo fecero per ricordare agli ateniesi il delfino marchiato a fuoco da loro, pochi anni prima, sulla fronte dei sopravvissuti alla strage dell’isola di Melo.
Celebre è il discorso tra gli ateniesi e i melii loro alleati, riportato da Tucidide nella sua storia: l’unica colpa dei melii era stata quella di non voler più inviare soldati per le guerre di Atene. Ma gli ateniesi non potevano lasciare che una piccola isola dell’Egeo, tirandosi indietro, desse così modo ad altri alleati di abbandonare l’alleanza che aveva fatto di Atene la superpotenza del Mediterraneo orientale.
I greci del V Secolo Avanti Cristo pensavano e agivano come noi, e avevano gli stessi nostri pregi e difetti. C’erano gli avidi e i saggi; i coraggiosi e i pavidi; i leali e i traditori. Alcibiade fece leva sull’avidità degli ateniesi, e li convinse a partire in armi per la Sicilia, prospettando il ricco bottino da cogliere facilmente in una città mai prima saccheggiata. Ma ciò non bastava, occorreva dare anche una motivazione etica alla guerra. Aggiunse quindi le stesse parole che abbiamo ritrovato sulle labbra di George W. Bush venticinque secoli dopo, per giustificare l’aggressione all’Iraq: “Dobbiamo fare una guerra preventiva” e anche “dobbiamo portare la nostra democrazia con le armi agli altri popoli.” E così quarantacinquemila ateniesi un giorno partirono festanti per la guerra dal Pireo. Ma pochi di essi, scrive Tucidide, fecero ritorno a casa. “Fu una distruzione radicale: vi scomparve l’esercito, si dissolse la marina, e nulla si riuscì a salvare” (Tuc. Storia, libro VII, 87). La storia antica non ha quindi insegnato nulla ai contemporanei: pur essendo maestra di vita secondo Cicerone, essa ha purtroppo pessimi discepoli, come affermava Gramsci.
Non troverete in libreria questo romanzo: chi ne volesse una copia può richiederla all’autore. Felice d’avere il vostro affetto, vi auguro ogni bene.                        Giuseppe Bordonali
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