Enzo Barnabà - gli scompaginati

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Enzo Barnabà

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NARRATORE? NO, RACCONTATORE

Ho esitato molto, prima di cominciare a scrivere. “La gente legge poco” mi dicevo “lo scarso tempo che concede ai libri lo dedichi a Verga o a Sciascia: nelle loro pagine, piuttosto che nelle eventuali mie, potranno trovare stimoli e risposte”. Siamo evidentemente in Sicilia, dove sono nato e dove ho passato la mia prima gioventù.
 
Il ghiaccio fu rotto dalla curiosità. Sapevo che nell’Ottocento nel mio paesello situato nel cuore dell’isola, il popolo era insorto, aveva cacciato le forze dell’ordine e aveva fatto man bassa dei beni dei ricchi proprietari. “Come, quando, perché?” mi chiedevo. Dal momento che nessuno sapeva fornirmi risposte esaurienti, mi rivolsi agli archivi ed alle emeroteche, tralasciando i miei studi regolari. Dopo alcuni mesi, fui in grado di ricostruire dettagliatamente l’episodio, uno dei tanti che costellarono la stagione dei Fasci; ricostruzione che non esitai a condividere con i miei ipotetici venticinque lettori.
 
Durante le ricerche, mi imbattevo frequentemente in un evento avvenuto nello stesso periodo, il massacro di Aigues-Mortes, “un tratto di storia patria” per continuare a citare Manzoni “più famoso che conosciuto”. Raccolsi non poche informazioni sull’argomento. Finiti bene o male gli studi, fui assunto in un liceo di Nîmes, il capoluogo del dipartimento francese in cui si trova la cittadina teatro dell’eccidio. Volli ovviamente saperne di più, ma nulla di convincente era stato scritto né in Italia né in Francia. Dopo giorni di ricerche, ebbi la fortuna di reperire un fitto “dossier Aigues-Mortes” che mi permise di descrivere minuto dopo minuto, per così dire, quanto avvenne in quelle terribili giornate. Potei pubblicare il primo libro, sia in Francia che in Italia, sull’argomento. (Sì, alcuni libri li ho scritti o tradotti in francese poiché mi destreggio in questa lingua quasi quanto in italiano).
Il tragitto del saggista era stato intrapreso e mi dava qualche soddisfazione. Alcuni anni dopo, però, andai a lavorare in Africa, continente che mi spinse (con le temperature tropicali è nelle cose) a rompere un altro ghiaccio. L’Africa nera mi apparve come un nuovo pianeta, cercai di conoscerla, di esplorare alcuni tratti della sua cultura (rapporto uomo-donna, ruolo delle religioni, del denaro, ecc.) e di presentare la “mia Africa” ai curiosi lettori. Come? Ma ovviamente tramite gli strumenti che prodigalmente mi forniva la letteratura: personaggi, aneddoti, metafore, per esempio. La saggistica continuava a farla da padrona nella ricerca e nell’analisi delle fonti, così come nella finalità del lavoro; cambiava la modalità che diventava maggiormente suscettibile di suscitare l’interesse dei lettori. Trovai naturale far raccontare direttamente le storie ai personaggi, trasformandoli in narratori. Io, almeno formalmente, mi tolsi di mezzo. Nacquero così il romanzo “Il ventre dal pitone” (oggi: “Il viaggio di Cunégonde”) / “Le ventre du Python” e la raccolta di racconti scritta assieme a Serge Latouche “Sortilegi” / “Le crocodile du Bas-Congo”.
Tornato in Europa, non resistetti alla tentazione di riprendere una mia ricerca sulle vicende di un partigiano siciliano morto a Belluno. Una storia che i familiari (figlio compreso) ignoravano, e che trasformai nel romanzo “Il partigiano di piazza dei Martiri” cedendo la parola al protagonista e a suo figlio. Mi buttai poi a capofitto nella biografia (l’“autobiografia”, naturalmente) di un mio vicino (le nostre abitazioni distano poche centinaia di metri): Serge Voronoff, il favoloso chirurgo che trapiantava testicoli di scimmia sull’uomo. Un personaggio che pur essendo stato ai suoi tempi uno degli uomini più popolari del pianeta era stato largamente dimenticato.
 
Gli ultimi due libri li ho dedicati al Ponente ligure che mi ospita da quarant’anni (e dove cerco di svolgere la funzione di "briseur de frontières mentales" che Nice Matin mi attribuisce): “Il Passo della Morte” (la storia e l’attualità della frontiera tra Ventimiglia e Mentone) e l’appena uscito “Il Sogno babilonese”: le vicende, ai tempi della belle époque, dello Château Grimaldi, del suo giardino e dei suoi abitanti fuori dal comune.
E il futuro? Credo che continuerò a fare il “raccontatore” (un termine che mi si attaglia maggiormente del più ambizioso “narratore”). Non ho ancora scelto tra i vari soggetti che mi frullano per la testa. Certo è che la scrittura sarà, come sempre, faticosa, ma immagino che, analogamente a quanto succede alle mamme, guardando la mia nuova creatura dimenticherò i travagli del parto.
Enzo Barnabà
Gli Scompaginati - circolo di lettura - via assarotti 39 - genova ITALY
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