gli scompaginati

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Avevo appena tredici anni. Ma con la complicità di Nicola, il nostro autista, guidavo già la Balilla tre marce del nonno quando lui non c’era. C’era invece la guerra, bucavamo spesso i copertoni, e l’automobile singhiozzava e spesso si fermava, perché usavamo la benzina del Conte Rosso, ch’era intrisa d’acqua di mare…
Avevo tredici anni anch’io, quando mio padre mi raccontò come avesse imparato a guidare. Quella fu anche la prima volta che sentii parlare del Conte Rosso.
Era un grande transatlantico italiano, affondato dagli inglesi tra il Plemmirio e Avola, spiegò mio padre, trasportava in Libia tanti soldati e tanti fusti di benzina, anche sui ponti. Quando affondò, per mesi i pescatori di Avola, Noto e Portopalo raccolsero bidoni alla deriva. Naturalmente quella benzina, mista all’acqua di mare, finì al mercato nero.

     
Come tutti, mi sono emozionato nel guardare i film sul Titanic, sia quello più vecchio, sia quello bellissimo di Cameron. Ogni volta, però, il mio pensiero correva subito ai milletrecento giovani italiani annegati in quella ben più grande tragedia, dimenticata perché la censura di guerra la cancellò allora e, in seguito, perché nessuno voleva più ricordare una guerra perduta.
 
Lo scafo del Conte Rosso era stato impostato nel 1914 in un cantiere di Glasgow. La tragedia del Titanic era avvenuta appena due anni prima e il progettista di questo nuovo transatlantico lungo 180 metri, largo 22 e alto dalla chiglia alle ciminiere ben 39 metri, come un palazzo di dodici piani, aveva pensato di dotarlo di un doppio scafo e di paratie stagne richiudibili dalla plancia con un comando elettrico, per evitare che potesse ripetersi la tragedia del transatlantico inglese.
 
Scoppiata però la Grande Guerra, lo scafo del costruendo transatlantico fu trasformato nella prima portaerei britannica della storia: la HMS Argus.
 
Dopo la guerra, divenuto un lussuosissimo transatlantico, Il Conte Rosso fu prima impiegato nelle rotte tra Genova e le Americhe, poi fra Trieste e l’Estremo Oriente.
 
Questo libro è un contenitore di storie, come le Canterbury tales di Chaucer, o il Decamerone del Boccaccio. Scrivendolo, ho voluto onorare il ricordo di giovani provenienti da ogni regione italiana, accomunati tutti dallo scoccare delle venti e trenta del ventiquattro maggio, quando il primo siluro dell’Upholder colpì lo scafo sulla murata di sinistra, all’altezza della plancia. Poco dopo il secondo siluro, colpendo la sala motori, portò a fondo in dieci minuti la grande e bella nave.   
 
Uomini del Conte Rosso (2004) è stata la mia terza pubblicazione, per i tipi della Sovera di Roma. Anche questo libro è già esaurito, sono però in attesa di una eventuale ristampa.
 
                                                                            
 
                                                                Per non dimenticare quei giovani
 
                                                                                                     Giuseppe Bordonali
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